mercoledì 24 dicembre 2014

Canto di Natale

24 Dicembre. Seduto di fronte al televisore. Durante la giornata avevo strisciato l'ombra per il centro. Stronzi raccoglievano fondi per associazioni benefiche, ma gli riusciva solo di manifestare che la loro vita era noiosa. Uno zingaro suonava con la fisarmonica Jingle bells (venduta l'anima per suonare come Paganini, ma chi aveva i soldi era negro dentro: non sganciava se non sentiva lo spirito del Natale che gli palpava il cazzo). Un cazzetto filippino mi si era avvicinato:
-'gnore Tsunami soldi...-
Aaaaaaaaah Wagner! AaaaaH! Michelangelo Aaaaaah! Dante Aaaaaaah! Mozart!
-Le urla dell'occidente in agonia non mi fanno sentire quel che dici. Ciao.-
Il piccolo cannibale si era allontanato con tutto la sua pucciosità satanica. (Rosseau maledetto hai fatto più danni te con il buon selvaggio che il dio degli scafisti.)
Ed ero seduto di fronte al televisore ad affilare la pistola. La notte bagascia stava avvicinando lasciva al mio orecchio. Nasceva Cristo grazie a Dio, ma si sentiva la mancanza di un nemico. Senza jihadisti non c'è bisogno di cacciabombardieri e senza cacciabombardieri la vita non merita d'essere vissuta. Dov'era l'Anticristo? Ero seduto di fronte al televisore ad affilare la pistola ed aspettavo l'inizio dell'Apocalisse. Ma fuori nevicava e non pioveva sangue.
Catene per le scale, alla classica di Natale.
-Chi è?-
-Charles Manson e la Leonarda Cianciulli.-
-?-
-Ci hanno mandato per dirti di pentirti, ma noi siamo dalla tua.-
-Bella.-
Catene per le scale vanno via come bisce. Un gatto castrato diventa definitivamente quello che è: un cuscino.
-'sera.-
-Chi sei?-
-Il fantasma dei natali passati.-
-Sembri Primo Levi.-
-Sono venuto per farti ravvedere.-
-Sei Primo Levi.-
-Ti farò vedere un Natale del tuo passato per ridarti lo spirito del Natale. Dopo di me altri.-
-Recitami Se questo è un uomo.-
-.-
-daaai...-
Niente.
Tira fuori uno smartphone e scancra. Nel mentre faccio zapping alla tv e vedo documentari sui dinosauri cercando di tenere una posa crucciata da intellettuale postmoderno. Levi attacca con facebook e spegne la tv. Video Natale 2008 fatto in automatico dal sito. Mi rivedo pischello, carino con ancora in testa falsi miti di equità (grazie a Dio ora ho falsi miti di iniquità): appare uno status: Buon Natale a tutti :-) . Fine video. Generiche sensazioni di disgusto per il mio passato. Pseudo-fierezza per il presente.
-Ti senti cambiato?-
-No.-
Levi svola.
Vado in terrazzo a fumare. Mezzanotte e quaranta. Vorrei essere sepolto in una piramide. Non ho mai visto la corrida. Mangio sempre cibo che non ho ucciso io.
-'notte.-
-e te?-
-Il fantasma dei natali presenti.-
-Sembri "il sorprendete album d'esordio dei Cani"
-Vestiti.-
Fez in testa, sciarpa e altro. Mi porta in centro. La gente mangia pesce ai ristoranti. Un luccio enorme mi fa sentire nella copertina di un album dei Beatles. Entriamo in casa di un negro. Mangiano pollo e buoni sentimenti: il bambino zoppo, il cane malato, l'acqua viola, la madre incinta. Dickens in un angolo si spara una sega.
-Ti senti cambiato.-
-No.-
Il sorprende album d'esordio dei Cani svola. Io scrivo 666 su un muro. Senza satanismo. Solo per Noia: il mostro che mi scava buchi nella schiena. Fa freddo. Nevica. Il mio fez non conta un cazzo per tenere il caldo.
Arriva l'ultimo mona. Sta zitto. Ha una falce in mano. La bandiera della pace sulle spalle.
-Fantasma natali futuri no?-
Nuisce.
Andiamo nel futuro. Andiamo al cimitero. La mia tomba: una piramide. Enorme.
Il fantasma dei natali futuri, parlasse, sarebbe zittito. Mi porta a casa.
Mi siedo davanti al televisore, affilo la pistola, aspetto l'apocalisse.
Fuori nevica.

Antonio De Oliveira Salazar





venerdì 19 dicembre 2014

Toccata e fuga a Fiume (cinematografia)

Era la prima volta. Non si nasce imparati. Si nasce urlando. 
Cristo prima di risorgere è dovuto morire tre volte.

Alla Duse

1. Io e il Vecchio. Sabato mattina. Sangue marcio. Pensieri marci. Marcio in bocca. La sera prima tutti i cavalli del cocktail bar ci avevano trottato in pancia, ma la Storia al bancone ci aveva chiesto erotica un drink e l'occupazione di Fiume: non potevamo puntare sul No. E quindi s'era fatto sabato mattina, s'era fatta la stazione dei treni, s'era fatta l'ora di partire. 
2. L'Italia si stendeva di fronte a noi giolittiana nel midollo. Un negro della periferia dell'impero eleganteggiava con una bombetta dimostrando tutta la marciezza del sistema liberale. La carrozza strisciava paccottiglia romantica sui vetri: nebbia, case scorrubbate e la sborra di Friedrich. Fiamme ardenti sulle nostre teste in mezzo al gelo del Nulla. 
3. Il Vecchio dorme. Io sdraio. L'aria mi dà ossessioni al gusto di mandarino. Devo mangiare arancione. 
-Vado a pisciare.-
-Vai.-
In bagno il finestrino urla frasi. Prima il mio nome. Poi infausti vaticini. Delirio da cavalli in pancia. Esco. Il Vecchio, del paesaggio vede solo i cimiteri. Entusiasta.
4. Trieste. Città d'Italia. Terra redenta. Più oltre: irredentismo concreto. Andalusia : Cid = Rijeka : Noi. Ciao ad amici borghesi: i "verrei, ma non ho l'elmetto". Noi si ha la testa di ferro. Ceniamo a pizza e nausea. Indomi dormiamo. 
5. 11.30. Bus. Sotto di noi scorre irredentismo liquido. Alla guida dell'orgasmo positivista due slavi. Portano la peste e non lo sanno. Il Vecchio vuole beffare parlando di D'Annunzio. Io lo fermo. Il fantasma della paura si nutre dell'ombra dei trapezi slavi.
6. Fiume. Anzi Rijeka. La città è morta. La sua carcassa è piena di parassiti esteuropei. Spettro di Tito:
-Ho sodomizzato Fiume.-
-Ma D'Annunzio riusciva a succhiarsi il cazzo da solo.-
Tito muto.
7.Tutti gli orologi segnano Mezzogiorno meno cinque. Il sindaco di Fiume cerca di fottere l'impresa con la psicologia. Ci riesce. Paranoie vuote ballano sulle nostre teste piene.
8. Donne croate dai capelli strani vanno e vengono lungo il Korzo. Piscio britannico nelle nostre tazze al Pommery. Fumiamo. Constatiamo il fallimento dell'impresa. Si sapeva. Decisione di procedere per tafferugli. Spettro di D'Annunzio:
-Falliti.-
-Se eri così scomodo, perché sei morto?-
D'Annunzio si succhia la cappella.
Noi muti.
9. Brigata Tafferugli. FIUME CITTA' D'ITALIA al cartello di benvenuto del Porto. ELEONORA DUSE  sul teatro austroungarico. BALBO AVENUE sul Korzo. CIANO STAIRS sulla scala mistica da Rijeka a Trsat. W IL RE in faccia a Nikola Tesla. 15/12/14 FIUME LIBERATA su un cartello del porto.
10. Municipio. Interroghiamo la guardia grassa e femmina. La Storia socchiude le gambe:
-Vogliamo parlare col sindaco.-
-Impossibile.-
La Storia chiude forte le gambe.
Male.
11. Scriviamo al sindaco. Scriviamo a Prometeo. Scriviamo alla Storia. La brigata tafferugli, eroica, sa sopratutto scrivere. L'azione è per uomini di carne ed ossa: noi si è solo quanto di meglio il decennio aveva da offrire.


Antonio De Oliveira Salazar






domenica 7 dicembre 2014

Affinità e divergenze fra Satana e me - Del conseguimento della maggiore età

Un solo grido, un solo allarme, c’è Pisa in fiamme, c’è Pisa in fiamme,
se ne rimane, un pezzettino, lo bruceremo, con l’accendino


Nel deserto tartaro studio escatologia etrusca. Desidero solo il desiderio del sultano di decomposizione.

Pisa merda

Quaranta giorni nell'arido a ingozzarmi di nulla e a darmi al vizio dello stilita.

Se la merda fosse oro Pisa sai che tesoro!

Se avessi coraggio spolvererei una figa col cianuro e leccherei. Lappate larghe. Lappate. Lappate lunghe. Eros e Thanatos. Putthanatos. Thanatos e Eros. La coppia. Trita. Trita. Trita.
In lontananza Satana.
Satana è bella.
Satana ha i capelli verdi e gli occhi gialli.
Satana è un fachiro e io sono un cobra che studia escatologia etrusca.
-Se sei Figlio di Dio di che questi sassi diventino pane.
-Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede.
-Se prostrandoti mi adorerai, tutte queste cose io ti darò.
Ma i
l pensiero della lingua di Satana, dall'orecchio, già brucomelizzava il mio cranio marcio.
Ma io avevo già regalato l'anima al demone baio, come un nobile decaduto il Titolo al sorriso dell'ultima troia vizza. (Faust aveva venduto perché ebreo.)
Ma io non ero il Figlio di Dio. (Si vedeva in faccia che non ero tedesco come Gesù.)
-Ah-
Satana mi lascia col verme in testa.
Satana cerca Gesù come un innamorato.
dissolvenza...
Nel buio si sente Paganini che si fa una sega.

Antonio de Oliveira Salazar




mercoledì 26 novembre 2014

Matteo 22,13

Centro scommesse. Tutti accartocciati. Un lungo a denti secchi fa il bramino tra filippini dalla linea incerta:
-Black ha l'anima di Milarepa scommetti sconfitto.-
-I fantini vincenti sono blu: è un trust che ho con Dio.-
-Chi piazza il 7 di Trieste, anche se figlio della merda, si libera dal samsara e diventa ricco.-
Un negro cupo su una panca sobilla idoli di spazzature memoria della merda divina della sua terra. Fai vincere. Fai vincere. Fai vincere. Tatum. Tatum. Tatum. Per me niente da piazzare e gli umori della ghiandola pineale già al monte dei pegni di Satana...
Un biondo in bianco alla porta.
Disegnato da una femmina.
Faccia di cazzo.
In quel cranio solo idee da finocchio che bazzicano.
-Matrimonio del kronprinz a villa Pamphili. Siete invitati.-
Lascia pegni a gente che non crede. Un cinese butta fuori fumo nero. Lo strozzino ammicca non si sa a chi. Forse alla bagascia della fortuna. E il mona biondo svola.
Stiamo tutti un po' lì, così.  Corrono cavalli. All'orecchio solo il bisbiglio ruvido del negro. Qualcuno inizia a prender su. La fogna inizia a vomitare la sua merda. Usciamo. Cazzo fai?...
Una processione amara si beve la notte. Già i pensieri si fanno seghe pensando alla figa di villa Pamphili. Io subodoro truffa: i ricchi, mica stronzi, non sono venuti; la cricca non c'è, i saggi del Tempio sono rimasti molli nel letto. IL RE CHIAMA E SOLO I MONA SONO VENUTI.
La paranoia suda la schiena.
Entriamo. Una mora dagli occhi verdi si sta versando addosso perle sciolte nell'aceto. Occhi perversi la palpano dove possono. Il biondo della sala scommesse, o un coglione uguale a lui (tutti uguali quando sorridono gli stronzi), ci porta nella sala da cena. Ci piazziamo sulle scrane. Il kronprinz ci contempla immobile. Faccia serena e assente. La sposa è bella come la figa. Il re è il kronprintz e il kronprintz è un colombo.
La cena sta male: il centro ippico imbarazza, il colombo sorride.
Poi vino turco sputa l'anima nella cena. Canzoni a mezza bocca. Il kronprinz con il volto in rosso. Bacio alla sposa. Un mauritano che non ha mai un cavallo si nuda e balla come uno stronzo ballerino. Allegria spacca la finestra e decide di cacciarci la lingua in gola.
Io no.
Io fumo.
Io non ho fede in questa buffonata.
Il re mi guarda.
-Perché non sei allegro?-
Muto.
Paonazzo.
Chiama il biondo.
-LEGALO MANI E PIEDI E GETTATELO FUORI NELLE TENEBRE; LA' SARA' PIANTO E STRIDORE DI DENTI-

Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti.

Fuori. Il buio fuori sanguina. Piromania per corpi di saggi del Tempio.

Antònio De Oliveira Salazar     

martedì 7 ottobre 2014

La nobiltà d'ammazzare il porco.


Satrapi agiati nelle mollezze.
Quasi non ci fosse domani.
Stomaci famelici su dei cuscini.
Cavallette del duemila troppo grasse per spiccare balzi.
Neonati, poppanti cibo, che defecano, inconsci, distruzione.
Devastiamo il creato, ma con la cannuccia.
Siamo sovrani effeminati che guardano vogliosi l’universo e, facendo un po’ di puttane moine mandiamo per il mondo, tappandoci gli occhi, i nostri eserciti a saccheggiare il cosmo.
Nella nostra buona cecità pensiamo di non sporcarci le mani e accusiamo di malvagità il fedele suddito portante brani di cadavere che divoriamo mentre sputacchiamo condanne verso tutto e tutti.
E così le nostre menti si lordano di bontà e buoni sentimenti, quando di buono non hanno proprio nulla.
Civili, ci vestiamo di Loden color razzia.
Merita più rispetto il villano che si sporca le mani ammazzando il porco.

Antonio De Oliveira Salazar

giovedì 18 settembre 2014

Un pezzo facile

La gente passeggia per le vie del Louvre parlando di Michelangelo senza capire un cazzo.
-Il mio intelletto è mirabilmente colpito dalla tela di questo Raffaello...
L'intelletto è colpito quando preso a pugni.
Comunque, visto che piace brancolare con ignoranza di fronte ai colori tintillanti di una pinacoteca e fingere l'orgasmo di fronte a "quadro di Nobile donna" perché l'ha detto Stendhal (e piace perché fa scopare), io presento qui un pezzo facile per chiarificare la mia posizione tra voi e me: fra cos'è un antidemocratico e un macaco.

Legge forte dei grandi numeri di Kolmogorov per variabili aleatorie indipendenti e identicamente distribuite.

Considerazioni preliminari.
Spiegare cos'è uno spazio di probabilità, una variabile aleatoria, l'indipendenza, la distribuzione... sarebbe come pretendere di spiegare, di fronte alla Pietà, i punti cardine della cultura rinascimentale italiana, il corpus hermeticum, l'omosessualità di Michelangelo e la merda descritta nel diario del Pontormo per cui, per proseguire nello stile che vi è proprio, passeremo direttamente alle questioni fondamentali di questo teorema.  

I
E(|X|)<+oo sse P(|X|>=1)+P(|X|>=2)+... è convergente

Infatti sapendo che E(|X|)=Integrale[0,+oo](P(X>=t)dt)
osservando che la funzione integranda è decrescente e osservando che la sommatoria su indicata è l'approssimazione dal basso dell'integrale (e con un +1 sommato e l'approssimazione dall'alto) si ha la tesi
Q.E.D.

II
(Xn)n successione di v.a. (variabili aleatorie) a valori nei reali i.i.d. (indipendenti, identicamente distribuite) si ha che

E(|X|)<+oo (*) sse P(limsup(Xn>=n))=0

Infatti si ha dal teorema precedente una condizione equivalente a (*) e si ha che l'implicazione da sinistra a destra è evidente dal I lemma di Borel-Cantelli (s'osservi che sono identicamente distribuite e quindi...).
Andiamo a vedere la seconda.
Sia supposto per assurdo che la serie  P(|X1|>=1)+P(|X2|>=2)+... non sia convergente: si ha allora tutte le ipotesi del II lemma di Borel-Cantelli verificate e quindi la negazione dell'ipotesi. Assurdo.
Q.E.D.

III

Avendo per noto il concetto di troncatura ad altezza 'a' sia (Xn)n una successione di v.a. i.i.d. sia (Yn)n la successione della v.a. definite a ogni passo n come la troncatura ad altezza 'n' della Xn si ha che

lim E(Yn)=E(X1) (se questa appartiene ad R (**))

(il teorema in questo caso lo diamo per dimostrato per alleggerire, per i vigliacchi e i malfidenti la dimostrazione si ha sfruttando la definizione di troncatura (che non vi ho dato hahaha!) e il teorema di convergenza dominata (dove risulterà fondamentale l'ipotesi (**))

IV
Sia (an)n una successione a valori in R, diremo che converge alla Cesaro se le successione della sua media parziale converge ad l.
Se una serie converge, allora converge alla Cesaro.
In particolare quindi s'applichi il concetto alla tesi del punto III.

Legge forte dei grandi numeri di Kolmogorov relativa a una successione di v.a. indipendenti.

Sia (Xn)n una successione di v.a. indipendenti, con
E(Xn)=0 per ogni n
bn una successione non negativa che diverge
Somme([E(Xn)^2]/(bn^2)) convergente
Allora la successione degli Xn converge alla "Cesaro" (in realtà al posto dell'n previsto nella convergenza alla Cesaro bisogna metterci i bn) a 0 q.c. (quasi certamente)
(il teorema lo diamo per dimostrato)

A questo punto siamo pronti a enunciare e dimostrare la legge forte dei grandi numeri di Kolmogorov applicata a una successione di v.a. i.i.d..

1. Sia (Xn)n una successione di v.a. i.i.d. con speranza matematica finita allora la successione converge alla Cesaro alla speranza matematica di X1 q.c.
2. Analogo al precedente, ma complementare (la speranza è infinita, la successione diverge)

Dimostrazione

1. Grazie a II abbiamo definito, in sostanza, le caratteristiche degli z (elementi del dominio delle v.a.) q.o. questo ci ha fatto comprendere che da un certo n in poi (definito per ogni z) le troncature ad altezza n e le v.a. effettive sono uguali (basta ragionarci...).
Ragioniamo su queste. Queste sono indipendenti perché composizioni di v.a. indipendenti con funzioni misurabili. Abbiamo perso l'i.d.... Ci piacerebbe applicare la legge forte dei grandi numeri di Komogorov applicata alle v.a. indipendenti, la quale magari ci porterà alla tesi, per farlo però sarebbe necessario avere la speranza delle v.a. pari a 0. Le nostre variabili troncate non ce l'hanno. Le centriamo (ovvero definiamo le v.a. Y come le nostre troncate meno la speranza matematica). Queste verificano le ipotesi del teorema (l'ipotesi della sommatoria, che è la più complessa, ragionandoci ci si salta fuori bisogna solo osservare che VarX<E(X^2), che vige l'identica distribuzione e altre chiccherie che verranno in mente al lettore limitandosi a farsi trascinare dal demone dello spirito dimostrativo). Ora, la domanda è, la tesi del teorema che stiamo usando implica la nostra tesi? Certo basta sfruttare il concetto della convergenza alla Cesaro e la definizione degli z.

2. Il punto due si limita a dimostrare che i punti in cui converge la serie sono punti che appartengono al complementare del limsup(Xn>n) che ha probabilità 1. E quindi la tesi.

Q.E.D.

Chi non ha capito faccia finta che gli è piaciuto. Fa scopare. L'ha detto Stendhal.

Antonio De Oliveira Salazar






domenica 14 settembre 2014

Piazza della Battaglia

La piazza grugniva, e si dimenava, e si contorceva: pareva una di quelle donne minute capaci di mettere i piedi dappertutto; e non potevo abbassare un attimo lo sguardo senza che, risollevandolo, mi accorgessi di qualche mutamento. Esisteva fra le panchine una sorta di flusso disordinato e velocissimo, che in pochi secondi poteva portare una persona da una parte all'altra della piazza. Così, chi stava bevendo un caffè sotto l'ombra di Don Pedro, poteva trovarsi poco dopo sull'altro lato, a chiaccherare con persone che neanche conosceva. Fu così che, più e più volte, persi di vista individui che credevo di avere sotto controllo. Un anziano zoppicante, con l'ausilio di un bastone che zoppicava ancor di più, sedette di fronte a me. Di fronte a me, dico, perché questa piazza, oltre alle solite panchine allineate, aveva delle poltrone in legno che si guardavano, a tre a tre. Tre poltrone erano cioè i vertici di un triangolo; altre tre, di un altro triangolo; e così via. Sedette di fronte a me, dunque, questo vecchietto zoppicante; e io, un secondo a guardare il volo di un gabbiano; e lui, via, sparito, non c'era più.
Come avesse fatto a fuggire così in fretta, davvero non so dire; ma, se fossi costretto, butterei lì un rapimento.
Perché, lo giuro, non andava. Andava come una lumaca.
Ricordo di un altro vecchietto - sì, eran quasi tutti vecchietti - con un coraggioso abbinamento fra camicia e pantaloni, del tipo viola-giallo, o giallo-viola, o non lo so. Un cappello a cilindro azzurro, questo lo so. Guardai qualche panchina più in là, in un altro triangolo, e lo vidi. Poi, poco dopo, guardai di nuovo: e, salvo magiche trasformazioni, il suo posto era stato preso da Morpheus - quella specie di capo, in Matrix -, oppure da qualcuno che gli somigliava parecchio. Dove fosse finito quel cilindro azzurro, non mi fu dato di scoprire.
Questo triangolo, quello dove prima sedeva Arlecchino e dove ora sedeva Morpheus, era senza dubbio il più interessante dell'intera piazza. Si poteva percepire un centro di energia, lì, a cui tutto ruotava attorno. Il centro di energia consisteva in un signore nero. Non Morpheus. Un altro.
In pieno agosto, con il cielo che - era chiaro a tutti - non avrebbe concesso l'intrusione a nessun tipo di grigiore, questo signore indossava un pesante berretto di lana.
E cantava. Cantava un canto africano, uno di quelli che si può ascoltare in tanti documentari. Il primo che ti viene in mente se pensi a persone che saltellano in tondo mentre suonano il tamburo. Io, non conoscendo la lingua, non capivo se dicesse effettivamente qualcosa, oppure se si limitasse a emettere suoni privi di significato. Era tutto immerso nel suo canto. Teneva gli occhi chiusi, e non era interessato a niente, se non a quello che stava facendo. Cantava, e ruotava la parte superiore del busto, formando delle circonferenze con la testa. Per lui il mondo era tutto lì.
Il canto andava via via aumentando in volume. Oltre che alla passione sfrenata del cantante, questo era dovuto ad un signore che sedeva lì, allo stesso triangolo, e che continuava a richiedere che il canto fosse più alto, e più forte, e più possente. Il nero aumentava ma lui no, non era contento, e con le mani diceva Di più, voglio di più, più alto.
E il nero su, più alto.
Il terzo posto del triangolo cambiò una decina di volte. Morpheus si stancò in fretta di ascoltare quelle grida invadenti: si alzò e cambiò panchina, con fare un po' goffo e imbronciato, come a dire: Guarda te, che maleducazione, uffa, adesso mi alzo e vado via!
Il posto venne immediatamente occupato da un altro signore (vecchio). È difficile capire come avesse ragionato, nella scelta del posto, visto che poco dopo se ne stava a leggere il giornale tre o quattro panchine più in là. Così un altro; e poi via; e un altro ancora.
E il nero continuava.
E il motivatore continuava. Aveva iniziato a scandire il ritmo del canto battendo un piede a terra.
Poi c'era il marinaio.
Si sedette grossomodo fra me e il cantore, in traiettoria. Non so se fosse un marinaio o no, ma secondo me sì, perché aveva tutto del marinaio. Se a un certo punto avesse tirato fuori qualche strano aggeggio marinaresco e avesse iniziato ad affaccendarsi e ad imprecare contro il vento dell'Est, non mi sarei affatto stupito. È superfluo dire che non mi accorsi del momento in cui sedette. Il flusso disordinato e velocissimo lo aveva portato lì da chissà dove.
Dal mare, probabilmente.
Mi accorsi di lui quando, guardando il busto del nero ruotare come se obbedisse alle istruzioni di un insegnante di yoga, vidi, leggermente sulla destra, una lingua sbieca che pattinava su una cartina; e, sopra la lingua, due occhi sbiechi che mi guardavano; e, dietro a tutto ciò, una faccia strinata che aveva patito il sole cocente dell'oceano.
Era infastidito, questo marinaio. Il canto lo disturbava, e, per fuggire, mirava in lontananza la statua di Don Pedro. In lontananza, poi: era a venti metri; ma il suo sguardo sembrava andare oltre, come a puntare una qualche preda là, nell'oceano, nell'abisso.
Era infastidito, dunque, e lo divenne ancor di più quando due ceffi sedettero al suo triangolo. Gli disse Via, andate via, non vi voglio. Mi sono seduto qui solo e voglio restare solo. E così fu, e il marinaio si trovò di nuovo solo, e la sua lingua pattinava di nuovo su una cartina, e così fumò, e fumò ancora, e mirò, lontana, la statua, la preda.
Fumava strano. Le sue sigarette finivano in tempi brevissimi. Per di più non aspirava, o aspirava poco: non faceva in tempo a tirar dentro il fumo che subito una vampata di grigio gli copriva la faccia.
E poi sputava. Sputava a terra. Sputi possenti, che, oltre alla saliva, sembrava racchiudessero tutta la sua vita. Tonno, sale, vento, pioggia: tutto sembrava mescolato in quegli sputi. Ciaff, facevano, quando toccavano terra.
Per la verità, in quella piazza sputavano più o meno tutti. Era uno sputo continuo.
Sputava anche il cantante, che ora, ritrovatosi solo al triangolo - eh sì, anche il motivatore se n'era andato, non so dove -, ritrovatosi solo al triangolo continuava a fare il suo mestiere.
Poi però si alzò.
Iniziò a passeggiare per la piazza. Alla tonda, più o meno. A volte mi passava davanti e altre volte mi passava dietro. Cantava; e, ogni volta che passava dalle mie parti, io cantavo con lui, cercando in tutti i modi di essere accolto. Ma lui no, niente: mi guardava un attimo e poi proseguiva a camminare. Adesso che il motivatore non c'era più, era davvero solo nel suo mondo, e non permetteva a nessuno di entrare.
A giudicare dalle facce della gente, vien da dire che il nero fosse malvoluto. Facce irritate, facce disgustate. Forse era proprio per questo che così tanti sputi volavano qua e là per la piazza. Perché il nero era disgustoso. Non so.
Quel che so è che per me era magnifico. Guardavo solo lui. Gli invidiavo questa rara capacità di esprimere passione. I miei muscoli si contraevano solo quando mi passava dietro, perché avevo il forte timore - giustificato, credete - che potesse sputarmi in testa. Questo sputava, ma sputava a caso, con gli occhi chiusi, e più di una volta qualche malcapitato si vide arrivare un proiettile appiccicoso sulle scarpe. Però volevo dimostrargli la mia fiducia, e allora, quando mi passava dietro, anche se ero contratto, non mi muovevo, e cantavo. E, per fortuna, il nero non mi colpì.
Magnifico, dunque, per me. E magnifico anche per un altro signore. Cieco, credo. Se non cieco, quasi cieco, comunque. Come me, tentava in tutti i modi di attaccare un duetto - invano, perché, come potete immaginare, il nero neanche ascoltava, e continuava a passeggiare come se niente fosse.
Passeggiava, e, nel passeggiare, spostava molto il peso del corpo da una parte all'altra. Da destra a sinistra; da sinistra a destra; qua e là; là e qua. Era un passeggiare piuttosto pesante. Però non era un barcollare: la traiettoria era ben definita. Era semplicemente la camminata di un gigante dei cartoni, che ad ogni passo fa Pum, Pum, Pum.
Nel frattempo, la piazza continuava ad evolvere. Strani ceffi mi passarono davanti. Uno sedette in un triangolo vicino, in una poltrona che stava alla stessa altezza della mia e che era orientata allo stesso modo. Diciamo pure che sedette di fianco a me.
Aveva i baffi come Hitler. Non me ne accorsi subito, perché rimase per qualche minuto voltato dall'altra parte, quasi a volersi nascondere. Se qualcuno, in quei minuti, mi avesse chiesto di abbozzare il viso del signore, io, con tutti i miei limiti, avrei buttato giù qualche linea disordinata; ma - credete - non avrei in nessun modo disegnato qualcosa che volesse dire "baffi". Visto da dietro, questo signore non ce li aveva, i baffi. A un certo punto, però, si girò, e dovetti concludere che visto da davanti ce li aveva. Di più: erano come quelli di Hitler. Stonavano così tanto che sembrava fossero attaccati con la colla. Magari il pegno da pagare per una scommessa persa: mi immaginavo i suoi amici a ridere dietro un cespuglio. Proprio strano, questo signore. Mezzoretta dopo, non c'era più, e il posto di fianco a me tornò ad essere vuoto.
Anche il marinaio se ne andò.
Lui però lo avrei cercato anche in capo al mondo, così mi alzai e iniziai a guardarmi intorno velocemente. Lo vidi ad almeno trenta metri di distanza che discuteva con un signore.
Che inquieto, questo marinaio! Si vedeva, che qualcosa lo tormentava. Si vedeva, in quello sguardo lontano, che la sua vita non era finita; e che, se Dio così avesse deciso, qualcosa non sarebbe stato compiuto. Il mare doveva ancora rivelargli un ultimo segreto. Poi, il suo sguardo sarebbe tornato vicino, fra noi, e avrebbe effettivamente puntato alla statua. Le rughe sul volto sarebbero scomparse; e non più sigarette così agitate! non più discussioni così accese! Solo pace. Ma chissà, cos'ha deciso Dio. Se concedergli questo privilegio, oppure se farlo morire con la fronte aggrottata e col pensiero là, oltre la statua. Chissà.
Intanto, la sera si affacciava sulla piazza.
Il canto del nero era diventato un po' più fiacco, e non c'era più quel Pum Pum di prima. Per accorgermi di lui, adesso, dovevo guardarmi intorno alla ricerca di un berretto di lana nero col risvolto giallo.
La piazza iniziava ad evolvere più lentamente. Poco a poco, quel flusso magico, così intenso fino a qualche minuto prima, iniziò a scemare, e gli spostamenti delle persone divennero sempre più ragionevoli. Provai ad abbassare lo sguardo, e poi a rialzarlo, ma tutto era immutato. Notai solo che un'anziana signora era passata dal leggere un giornale al raccattare tutti i propri averi.
Il nero rallentava. Ancora.
A un certo punto si fermò accanto a una panchina, e stette un attimo in silenzio. Guardava la panchina con occhi neutri. Poi decise di sedersi. Si mise sempre più comodo, così che in meno di un minuto stava sdraiato. La piazza si muoveva al rallentatore, e quell'anziana signora aveva appena fatto in tempo ad alzarsi e a muovere i primi passi verso casa.
Il nero si addormentò, e tutto divenne fermo.

Ruhollah

domenica 10 agosto 2014

Lisergico

Ad Artaud, scrittore pigro.

Sì, il nonsense ha rotto il cazzo, ma dopotutto è una domenica d'agosto dove il mondo ha un retrogusto di catastrofe e i miei pensieri non hanno voglia di mettersi in ordine e col culo aperto per essere sorbiti già digeriti da un lettore. Il mio inconscio oggi non ha voglia di fare la puttana. Esce fuori e spera di fottere lui qualcuno.

Un drago eliotropo passeggia per la stanza terrorizzando il blu di Prussia e il verde. Ho messo io il rettile d'incubo nella stessa vasca con gli altri due bastardi per nutrirlo come un pitone sinfonico in una vasca di ratti biscromi. Un arcobaleno viola mi prende a schiaffi e mi trascina in soffitta.
-'giorno Dio-
-Salazar cazzo vuoi?-
-Volevo sapere quanto sei alto.-
-203 cm.-
-Come Lebron James.-
-Fai due più due, testa di cazzo.-
Mi sciallo un po' in paradiso. D'Annunzio se lo sta succhiando. In Paradiso lo hanno lungo venti centimetri in più per succhiarselo. Uno chasseur de skin mi prende a catenate sulla schiena. Ho detto troppe stronzate sul settimo cielo. Un po' me lo merito. Torno di sotto. Mangio una scodella di latte e svastiche: fa merda. Dalla finestra entra lo spirito del tempo (zeitgeist) a cavallo. Gli offro una sigaretta.
-Che cazzo ci fai qui in cucina?-
-Cercavo della figa.-
-Posto sbagliato coglione.-
-Comunque fumo solo Marlboro rosse.-
Sapevo che le Winston blu sono da fighetta. Mi spegne la paglia su un occhio. Vedo tutte le stelle del cielo precipitare sopra casa mia. San Lorenzo mi stacca la pupilla bruciata e se la mangia. Mi sbatto una benda nera sull'occhio.
Fuori dalla finestra il rettile alato sta volando tutta la Cina e l'Inferno brizzolato [l'imperatore del celeste impero lecca la bella figa sanguinante del drago in volo]. Un nave negriera si trascina sui tetti marci della città di Dite. Il micco al timone è sbronzo come uno stronzo. Si sfanga contro la mia casa. Tutti i negri escono e iniziano a mangiarsi tutto quello che trovano. Poi l'intonaco. Le fondamenta. La terra. La pelle scura svanisce in un a voragine commutativa.
-Spero che ti muoia l'anima timoniere della puttana troia.-
-Altrettanto orbo!-
Fuggo lontano. Mi sbatto una principessa. La sposo e divento re di un paese di ciechi. Robespierre all'aperitivo mi dice che mia moglie è mia mamma. Gli cavo gli occhi con la forchetta e lo mando a Colono a chiedere pietà agli dei per me. Un annunaki marcio mi dice che lo stronzo francese ha detto boiate. Sto sereno.
Tutti i colori diventano arabo...
Dissolvenza.

Antonio Salazar De Oliveira

mercoledì 16 luglio 2014

Sbronzatevi

E' notte e cammino ubriaco in una città di barboni e puttane grasse. Assenzio! Che delirio! Non c'è nulla di meglio del delirio provocato dall'assenzio! Sento il cervello che odora di umido! C'è silenzio, il viale è cicondato di delicati fiori dal profumo di perla. Che meraviglia! Dietro un cespuglio un ricco borghese si fa scopare da una giovane abissino. Non c'è ninte di meglio dell'assenzio! Cammino, al mio fianco mi segue Io. Io: Guarda! Guarda quel cavallo com'è bello, che grazia, che portamento, che classe! Ti piace quel cavallo? E' bellissimo! Non credi? Gaurdalo guardalo! Oh c'è una panca piana! E lui sta provando a sollevare il bilancere! Com'è buffo! Com'è che ridicolo quel cavallo!
Io: Continua a parlare Io! Mi piace quando vieni a trovarmi! Continua a raccontarmi del cavallo!
Io: Guarda c'è un toro! E' così forte, imponente, maestoso! Senti? Sta raccontando di quando combatteva nell'arena! Dei toreri che ha ucciso! Che belle corna, che petto enorme! E guarda? Adesso sta cercando di prendere una penna e di scrivere le sue memorie! Povero toro, non capisce che con gli zoccoli non potrà mai scrivere!
Io: Come'è bello ascoltarti! Dici sempre la verità!
Io: E' forse diverso l'uomo ed il suo intelletto?
Dal cespuglio si ode un grido! Il borghese ha avuto l'orgasmo!

-Prometeo

martedì 15 luglio 2014

Il piccolismo dell'uomo. Nano di merda.

Non so più dove sbattere la testa. Sono un dio sceso in terra, ma non ho la sbatta di fare un cazzo. Potrei conquistare le steppe asiatiche e ricordare all'uomo cosa vuol dire avere a che fare con un dio beone alcolista di sangue. Ma non ho la sbatta. La grandezza immensa delle mie ambizioni è tale da godere di sé stessa senza bisogno di eiaculare.
Resta che non so più dove sbattere la testa. Guardo al domani e vedo una storia già letta: consuma, produci, crepa (GLF); per me la vita che ho davanti è solo sbattiti per niente, crepa. Ma no. NO. Io dico no. Con molta serenità, tra l'altro. Ora sta a vedere: vendo tutto, do tutti i miei soldi a quei pezzi di merda dei poveri e poi inizio a predicare il vangelo in centro.
-Te, ragazza di sedicianni troia (troia perché me lo fai venire duro), te che porti te in giro per il centro, sai che c'è la zizzania e il grano e là saràpiantoestridodidenti? Certo che non lo sai! Vendi tutto e seguimi! Mi manterrai con amore perché io sono un dio e intanto spiegheremo alla gente che il pane dei farisei non bisogna mangiarlo e chihaorecchieperintendereintenda!
Un tizio in bianco mi guarda storto mentre esorcizzo un capitano di vascello; dice che non ho capito un cazzo e che il mio Dio è più debole del suo.
-Ti sfido Dico io A far piovere sangue!
Lui si inginocchia e prega una Bestemmia blasfema o qualche altro incubo mesopotamico. Piove sangue.
-Trasforma il tuo bastone in serpe Mi fa.
Ginocchio per terra e...
No.
Mi sono rotto il cazzo anche di 'sta storia di predicare il vangelo in via Emilia. Tanto ci credo, ma non a sufficienza. Mando a fanculo il sumero. Dico addio alla ragazzina figa.
La soluzione e nell'alcol. Uccidersi nell'annichilimento. Già. Vabbè. Non sono uno per le soluzioni facili, IO. Ci fosse qualche movimento estremista convincente. Voglio lanciare bombe su Cracovia per fare grande la Germania. Mi ritrovo a piangere in cucina perché Hitler s'è sparato in testa.
VOGLIO L'OLOCAUSTO DELIRANTE DI UNA FESTA DEDICATA A BACCO: D'ANNUNZIO OFFICIANTE.
Voglio sparare a D'Annunzio. Che testa di cazzo incredibile D'Annunzio.
Wagner perché sei diventato un cavallo? Scriveremo una bella opera insieme senza tutto quel firullì firullà dei flauti: al posto dell'orchestra ci sarà un reggimento, già sogno il solo dell'obice innamorato.
No. Non ho la sbatta. La nostra generazione non ha la sbatta. L'uomo non ha la sbatta. Potevamo dichiarare guerra all'orrore dell'ordine, conquistare l'impero del BELLO, ma non abbiamo la sbatta. Nati liberi, viviamo nelle catene della sbatta.
Bevo acqua minerale.

Antonio Salazar De Oliveira

lunedì 7 luglio 2014

I due

La nave proseguiva. Le onde, come una mamma africana, cullavano con passione il suo cammino. La luna, piena, osservava curiosa, dall'alto, con la testa piegata da una parte e tanto giallo da offrire a quella nave, e a quelle onde, e a quelle due persone che, pensierose, si guardavano dritto negli occhi. Due ragazzi sulla trentina, vestiti in maniera strana, vecchia, quasi fossero usciti da un quadro di metà ottocento. I loro cappelli a cilindro, uno nero e uno marron, stridevano fastidiosamente di fianco alla modernità luccicante della nave. Luci dappertutto, gialle, rosse, verdi. La luna, che tanto offriva e continuava ad offrire, faticava a imporsi su quei lunghi cilindri colorati che ruotavano rapidamente su se stessi, e spesso si vedeva rimbalzato dritto in faccia il proprio contributo contro la notte nera.
I ragazzi parlavano.
Pensierosi, parlavano, e fissavano con occhi persi ora la faccia dell'altro ora il mare di acqua magica, che sembrava esser stato colorato da un bambino allegro e fantasioso.
Parlavano della loro vita. Non erano felici, i ragazzi, Andrea e Paolo, che avevano appena finito l'università, medicina, e però, nonostante il futuro apparisse dinnanzi a loro chiaro e diritto, non erano convinti di poter rinchiudere la propria vita entro segmenti così severi da non permettere balli, piroette, salti, cadute. In fondo in fondo, però, ed è questo il dramma, in fondo in fondo, tutti e due, in un buco profondo del loro corpo, forse in fondo al cuore forse in fondo allo stomaco, sapevano che tutte quelle parole erano leggere, troppo leggere per resistere a ciò che le circondava, e sarebbero volate via non appena il vento avrebbe deciso che non meritavano più di essere ascoltate.
Allora il cielo si aprì, improvvisamente. Il cielo si aprì e la luna dovette guizzare via, inarcando la schiena per non restare vittima dello squarcio e diventando così un misero quarto di luna. E si sentì una voce.
Porco Dio.
La voce risuonò gigantesca; e le montagne, che dalla nave, ormai prossima a raggiunger terra, si vedevano in lontananza, quelle montagne alte e fiere si piegarono su se stesse per la paura, diventando misere colline; e le colline, che stavano sotto alle montagne, diventarono pianure; e tutto il mondo si abbassò e si mise gli indici nelle orecchie per difendersi da quel tuono fragoroso. E nonostante questo, nonostante la voce fosse stata sentita da tutti e non lasciasse spazio ad ambiguità, nonostante ogni sillaba fosse stata così chiara da poter essere ripetuta nell'eternità anche dalla più stolta delle creature, nonostante tutto ciò nessuno avrebbe in quel momento giurato di aver sentito quelle parole. Nessuno; e tantomeno Andrea e Paolo, che ora avevano aggrottato le fronti e si erano tolti quei brutti cappelli a cilindro; e tantomeno la luna, diventata quarto di luna, che continuava ad osservare tutto da qualche chilometro di distanza.
Allora il cielo, forse percepita questa incredulità del mondo, ripeté ancora una volta e ancora più forte quelle terribili parole.
Porco Dio.
E, come prima, il mondo, sebbene avesse memoria antica e si ricordasse di tutte quelle volte in cui il cielo si era aperto e una voce si era sentita, il mondo di nuovo restò perplesso. Nessuno poteva credere che Dio avesse detto una cosa simile. Che Dio avesse detto Porco Dio.
Ma era così.
Dio aveva detto Porco Dio.
Allora il mondo, essendo stato Creato da Dio, dovette accettare quelle parole, e iniziò ad interrogarsi sul loro significato.
Si poteva vedere la luna, in lontananza, che si grattava la testa, pensierosa, e poco a poco, per lo sforzo di immaginazione, diventava sempre più rossa e si gonfiava, tendendo a diventare la grossa boccia ch'era prima, un po' come fa la guancia di un uomo quando gonfia un palloncino. Le montagne, che avevano ancora il collo contratto e la testa nascosta fra le gambe per lo spavento, a poco a poco si ritiravano su, affascinate dai ragionamenti che avrebbero forse condotto alla risoluzione del dilemma.
E poi c'erano Andrea e Paolo, su quella nave, su quella crociera che chissà perché aveva solo due passeggeri, che avevano aggrottato ancora di più le fronti e si guardavano negli occhi impauriti.
Ah, ma di nuovo! di nuovo come prima i due sapevano, sapevano, sempre in quel buco nascosto chissà dove nel loro corpo, il motivo esatto di quelle parole. Non se lo sarebbero mai confessato, neppure quando anni dopo lavorarono per tanto tempo assieme, come chirurghi. Da una parte non ce n'era bisogno, perché ognuno, nella fronte dell'altro, in quelle rughe perplesse aveva riconosciuto una consapevolezza che non aveva bisogno di conferme; ma dall'altra, dall'altra parte, entrambi cercavano nel rifiuto della verità un modo per convincersi di non sapere un bel niente, o al massimo di sapere che quelle parole erano rivolte a qualche sconosciuto che viveva chilometri e chilometri più in là.
E pensare che Dio deve averlo fatto a malincuore, questo gesto. Offendersi da solo, forse non ce n'era bisogno.
E però come meglio far capire a due persone, due ragazzi, due nullità, come meglio fargli capire che la loro esistenza, finché si limita alle parole, alle ambizioni, ai sogni, è più vuota di un fiasco di vino a fine serata? Quale modo migliore del dire: ho sbagliato, perché vi ho messo al mondo, vigliacchi, maledetti, voi, che di fronte all'acqua ghiacciata immergete l'alluce e poi, impauriti peggio di una vecchia vedova, lo ritirate fuori e fuggite all'indietro; ho sbagliato, perché non meritavate tanta bellezza, tanto splendore, tante opportunità, voi che vi siete accontentati di una strada senza salite, senza tornanti, senza pericoli; ho sbagliato, dunque, ho sbagliato, e per questo sono un Porco. Non c'era modo migliore; e infatti, di notte, quando i chirurghi di successo tornavano a casa, dalle belle mogli che aspettavano dormendo, e dai bei figli intelligenti che venivano stritolati sempre più nel futuro ragionevole, quando tornavano a casa e si trovavano davanti tutti i tasselli al posto giusto, infilati perfettamente l'uno accanto all'altro, nelle loro menti, nelle menti dei chirurghi perfetti risuonavano quelle parole, quel Porco e quel Dio che rendevano la loro vita in qualche modo inutile, povera, timida, impaurita, fiacca, soprattutto alla luce del motivo profondo della reazione divina: che - ormai possiamo dirlo - fu così tremenda proprio perché i due avevano intuito la possibilità di scivolare via come una saponetta dalla presa mortale dell'ordinario; ma, vigliaccheria immonda, laida, malefica, non ebbero mai il coraggio di fare quell'ultimo salto decisivo.

Ruhollah

domenica 15 giugno 2014

La città è piena di sbirri in borghese

Lo zingaro coi denti marci (o l'albanese, o quel pensiero vermiforme di periferia) mi s'avvicina con l'andatura di una vecchia canzone mutilata. Il duomo, si sente a orecchio, è bianco.
-Ciao
-Ci siamo già visti
-Un anno fa?
-No prima
-La scorsa settimana
-Un mese fa
-Infatti. Sono uscito di prigione un mese fa... cosa deve fare un carcerato che è appena uscito di prigione?
-Non so.
-Giro per tutte le caritas del mondo. Nessuno m'aiuta. È tutto pieno di sbirri in borghese. La Luna mi guarda con occhio perverso di secondino. Le stelle sono sbarre... ho un figlio, sai quanto costa un'anima?

Lo zingaro diabolico girava gli occhi. A volte non aveva le pupille. A volte respirava dello zolfo che teneva in una mano.

-Dipende da quanto pesa
-Te lo dico io. Quaranta euro. Aiutami a comprargliene una.
-Non ho soldi.
-Io ho una lama.

Un barbone recitava la messa nera per il consorzio del mangime bovino. Urlava ad alta voce -Bruciate gli uomini di pane-.

-Questo non cambia le cose. Non ho soldi.
-Ma hai un anima.

Il caldo arroventava il caldo marcio dei denti sulla lama. Un uomo con un cappello giustiziava piccioni su una panchina. 
Mi ricordai che Lorenzo De Medici scriveva poesie. Poesie di merda.


Antònio De Salazar Oliveira





domenica 1 giugno 2014

Arabesco in blu (improvvisazione su un disco di Ellington).

Il caribbi suonava un wodoo satanico al pianoforte. Fumo. Diavoli in grigio soffocavano l'aria. Un uomo pitone ondeggiava. Un'odalisca baciava Sileno in un bicchiere. La musica calda sussurrava forte ai timpani posseduti. Lasciva, una bottiglia affondata nel piacere eiaculava un incubo tropicale. Il negro dietro al bancone teneva vivo l'antico fuoco di Vesta in sigari domenicani. Una voce femmina di fachiro incantava i Diavoli in grigio che soffocavano l'aria.
Il Creolo o Lui o Belzebù s'alzò per andarsene. Lei o Circe o la Cafra lo legò con lo sguardo.
Respirando aria avvelenata, i pantaloni flosci lo portarono dalla strega. La tirò su. Il pianista rise un -eh! Eh!- forte, spalancando una caverna nera con rari denti aguzzi. Il Sabba pagano addensava l'aria come quella di un bordello algerino. Scambiarono qualche passo. Il Dio del sangue applaudiva sbronzo in fondo alla sala. Lei agitava la gonna. Lui le sussurrava lentamente all'orecchio offerte per la sua anima. Lei svaniva la mente nel PataAan Tadaan paan. I loro piedi erano di pantere d'odio in gabbia. Le mani del Creolo cercavano di divorare il corpo di Lei. L'alito di Lei addensava al naso di Lui la notte della jungla. La cantante dalla voce di fachiro abbozzava piano un testo in francese di corpi sudati e negromanzia blu. Il caribbi palpava il pianoforte come fosse una vecchia puttana. Un imam sceso dal minareto beveva lentamente vino portoghese per dimenticare la sura. La lingua della negra iniziò a uscire fuori dalla bocca suadente come un'anaconda avvolgendo nelle sue spire la testa del Creolo. I pantaloni flosci del Creolo strisciarono lungo le gambe della negra. Le gambe s'aggiravano molli nell'incubo della pista. Entrò un ebreo. Iniziò a sussurrare sommessamente con una tromba la morte di Cristo alla cantante. Raarara rararrraa rrrarrrrr. La musica si sciolse. I ballerini si sciolsero. La stanza si sciolse. Blu blu blu blu.

Annio De Oliveira Salazar        

domenica 25 maggio 2014

Il seggio

Il seggio è un mondo virtuale ben peggiore di un videogioco. La gente va lì, dietro a una tenda che se ci dovessi andare io, col cazzo che ci vado, o quantomeno gli farei notare che oh, me l'avete detto voi che sono importante, e allora datemi anche un posto decente porca vacca, che dentro una scatola con una tenda le persone importanti non ci entrano. Quindi la gente entra lì e si sente volare, perché io sto decidendo del mio futuro, io sto facendo valere un mio diritto, io, almeno qui che si può, mi metto il vestito di quelli che contano per davvero. Entra lì con quei due tre fogli, a seconda delle volte, e fa due tre croci, a seconda delle volte. Sarà un'operazione di qualche secondo, cosa volete mai, a far due croci si fa presto. Forse qualcuno si ferma ad ammirarle, le croci, simbolo della dignità del cittadino eccetera eccetera.
La dignità del cittadino. Mi ha sempre fatto riflettere questa espressione. L'ho sentita tante volte, alla televisione, e l'ho letta tante volte, sui giornali; e a dir la verità non l'ho mai capita tanto bene. Sembra che la gente, quando sente questa espressione, si senta gratificata. La dignità del cittadino, che bello, io son cittadino, e quindi ho dignità, che bello, la dignità del cittadino, si può camminare a testa alta ad esser cittadini. Secondo me è un po' come un contadino tirchio che compra il grano più scadente e lo butta là alle sue galline. Le galline, quando vedono quei chicchi piombare dal cielo e cadere lì davanti, dicono la stessa cosa, dicono: oh, che buono, il grano più scadente, come siam fortunate a mangiare il grano più scadente, oh, che buono, oh, che buono, il grano più scadente. E i politici, quando dicono "la dignità del cittadino", è come se aprissero un sacco da cinquanta chili di grano scadente e lo rovesciassero in testa alla gente. Trovare la propria dignità fra le parole di un uomo che probabilmente è più inutile di un conduttore televisivo di seconda mano non è granché. Bisognerà che una persona, nel cercare la propria dignità, provi ad attingere da altre fonti: altrimenti è dura trovarla. La si può trovare in certi momenti, ma è roba passeggera, di poco conto, niente più.
Però va be', torniamo a quell'uomo, anzi era la gente, però facciamo fosse l'uomo, c'era l'uomo che aveva fatto le due tre croci a seconda delle volte e aveva ammirato per un po' quelle croci simbolo della dignità del cittadino. E l'uomo aveva le ali. Poi, dopo tutto questo, che, non dimentichiamo, dura qualche secondo, dopo tutto questo ambaradan di emozioni intense ed impulsive l'uomo esce, scostando per la seconda volta la tenda impolverata.
E qui, mi sono immaginato tante volte la situazione: l'uomo che esce con queste ali imponenti, con la schiena dritta e con lo sguardo fiero, orgoglioso, di chi sa di poter fissare tutti negli occhi; con la matita in mano, luccicante, con la punta rivolta al cielo... Poi mette le schede dentro alle scatole, anche loro due o tre a seconda delle volte, e poi boh, altre cose del genere, non lo so, forse saluta gli scrutatori, forse saluta i carabinieri, forse non lo so, riprende la carta d'identità, e così via.
Poi, finalmente, esce.
Ed è qua che ho sempre pensato a che fine possano fare le sue ali imponenti e il suo sguardo fiero. Io credo che, a poco a poco, tutto svanisca nel nulla. Forse non subito, forse per tutta la giornata l'uomo si sente felice e importante; forse anche il giorno seguente, non lo metto in dubbio; ma poi basta. E dopo? In strada non ci sono né le scatole né le tende; e allora è un bel problema girare col sorriso per chi affida la propria dignità a quelle croci fatte a matita.
È per questo che dico che il seggio è un mondo virtuale. Perché si crede di essere importanti nel mondo reale, e invece lo si è soltanto dentro una scatola che poco ha a che vedere con quello che accade fuori. Poi, voglio dire, concedetemelo, è proprio un mondo virtuale di merda. Di solito nei mondi virtuali si possono fare cose straordinarie, come volare alti nel cielo, uccidere un intero esercito con una sola pistola, parlare coi draghi, trasformarsi in creature mitologiche, e ancora volare, volare, e poi tornare umani, e riprendere in mano la pistola e tornare a uccidere, e poi combattere come un samurai, e poi tante altre cose che son belle appunto perché non vivono nel mondo ordinario. Là, dentro alla scatola, niente. Soltanto una matita. Smangiucchiata, perlopiù. E ditemi come ci si fa a divertire, così. Mah. La vita di un cittadino modello deve proprio essere una noia mortale. D'altronde stiamo parlando di democrazia, che è come parlare del niente; e allora non c'è neanche da stupirsi. Però ci si spera sempre, di trovare qualcosa di interessante in luoghi e in persone dove si pensava fosse tutto deserto, o dove fino a ieri era tutto deserto; e invece è una delusione continua. D'altronde, Gesù era stato molto chiaro.

"A chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha."   Matteo 13,12 (e tante altre volte, a dirla tutta)

Merde siete e merde resterete, in poche parole.


Ruhollah

domenica 11 maggio 2014

Il buio.

(Furto di una prosa lirica nevrastenica.)

MODENA
1.La città sta identica come un ricordo di cadavere. Nella sua piattezza, l'agosto torrido strangola i suoi polmoni pieni di polvere. Archi di ponti sulla necropoli idrica in asfalto. Umidità senza canali. Uno zingaro a gettoni suona musica secca indifferente vuoto. Lontane figure di assenti infestano la piazza. L'aria crespa s'accartoccia irritante e arraspa la gola. Il tempo sospeso decompone il mondo cloroformizzato.

2.Guardai il campanile islamico (la punta violenta stuprava il cielo). Un pensiero iperacuto conficcò l'angolo sanguinoso nell'Inconscio. Il cranio stimolato vide fantasmi carnificati di passeggiatrici: la campagna imprigionata nel catrame: corpi da peste e da bordello. Il muezzin d'ottone dall'alto dindondò oro liquido: Sera. SOGNO D'OCCHI: nella solitudine metabolizzo LEI, carne rosa occhi infinito: motivo d'esistenza per seminaristi del Nulla.

3. Persomi, colui che io ero stato camminava Teseo nel labirinto estense. Vagava nel silenzio meridiano del dedalo posticcio di architetture. Una scena deserta con sopra sospeso un cimitero commediante. Balenio di una fontana nella luce fotografica. Un motto latino sanguinava intestini.

4. Una processione di giovani martiri dell'edonismo, va a celebrare l'aperitivo. Chiude la colonna una flagellante incrostata di sangue enologo.

5. Strisciavano le loro ombre lungo i muri rossi e scalcinati: egli seguiva: burattino di carne. Sputò una parola alla donna in cilicio di piacere ma l'aria di sabbia la uccise. Un assassinato dalla materia lo guardò con sguardo assurdo lucente e vuoto. La flagellante sorrideva estatica del suo piacere stomacoso, ebete e sola nella luce catastrofica.

6. Non saprò mai come ripescai il mio spirito suicida in un fosso limico. Ci accompagnammo per strade gracidanti puzza. Un trattore cantava il suo motivo rustico come uno stronzo il suo motivo fognario. Alla fine del coltivato la porta bussata del night. Una guardia in rosa pallido e grasso m'attrasse. Entrai. Una mercante di fighe opulenta e sontuosa mescolava canali unti con occhi infantili. Salutai. Una voce flaccida di satrapo rispose. Distinsi nell'altra stanza il corpo addormentato di una bocca rossa semiaperta. Aspettai.

7. L'annichilente sequenza televisiva pugnalava monotona il mio cranio. Guardavamo assenti il bagaglio cercando di assassinare minuti, la bocca rossa semiaperta contemplava come una sfinge la luce danzante. Fuori il deserto andava spegnendosi.

8. Il tramonto colava i suoi umori. La voce della ruffiana s'era meccanizzata, la cancrena la stava corrompendo. La sera stava calando, languida amica del criminale. Il mostro sterile, la bocca rossa e il poeta s'impastavno la bocca con la sterilità del mondo.

9. Giunse il buio e fu compita la conquista della troia. Il vuoto mescolarsi delle due carcasse gli occhi atterriti di voluttà ispidi capelli neri intricavano una fantastica vicenda. Mentre nella testa s'aggirava il demone di LEI: ossessione: vampira: chimera. Mentre la Maddalena chiedeva in sussulti la mia iniziazione ai misteri del fango. Mentre vivevo il lungo buio degli inganni e delle immagini.

Antonio De Oliveira Salazar

sabato 10 maggio 2014

A nice cup of tea


If you look up ‘tea’ in the first cookery book that comes to hand you will probably find that it is unmentioned; or at most you will find a few lines of sketchy instructions which give no ruling on several ofthe most important points.

This is curious, not only because tea is one of the main stays ofcivilization in this country, as well as in Eire, Australia and New Zealand, but because the best manner of making it is the subject ofviolent disputes.
When I look through my own recipe for the perfect cup of tea, I findno fewer than eleven outstanding points. On perhaps two of them there would be pretty general agreement, but at least four others areacutely controversial. Here are my own eleven rules, every one ofwhich I regard as golden:
First of all, one should use Indian or Ceylonese tea. China teahas virtues which are not to be despised nowadays — it is economical, and one can drink it without milk — but there is not much stimulation in it. One does not feel wiser, braver or more optimistic after drinking it. Anyone who has used that comforting phrase ‘a nice cup oftea’ invariably means Indian tea. Secondly, tea should be made in small quantities — that is, in a teapot. Tea out of an urn is always tasteless, while army tea, made ina cauldron, tastes of grease and whitewash. The teapot should be madeof china or earthenware. Silver or Britanniaware teapots produceinferior tea and enamel pots are worse; though curiously enough apewter teapot (a rarity nowadays) is not so bad. Thirdly, the pot should be warmed beforehand. This is better done by placing it on the hob than by the usual method of swilling it outwith hot water. Fourthly, the tea should be strong. For a pot holding a quart, ifyou are going to fill it nearly to the brim, six heaped teaspoonswould be about right. In a time of rationing, this is not an idea thatcan be realized on every day of the week, but I maintain that onestrong cup of tea is better than twenty weak ones. All true tea loversnot only like their tea strong, but like it a little stronger witheach year that passes — a fact which is recognized in the extra rationissued to old-age pensioners. Fifthly, the tea should be put straight into the pot. No strainers, muslin bags or other devices to imprison the tea. In some countries teapots are fitted with little dangling baskets under the spout to catch the stray leaves, which are supposed to be harmful. Actually one can swallow tea-leaves in considerable quantities without ill effect, and if the tea is not loose in the potit never infuses properly. Sixthly, one should take the teapot to the kettle and not the other way about. The water should be actually boiling at the moment of impact, which means that one should keep it on the flame while one pours. Some people add that one should only use water that has been freshly brought to the boil, but I have never noticed that it makes any difference. Seventhly, after making the tea, one should stir it, or better, give the pot a good shake, afterwards allowing the leaves to settle. Eighthly, one should drink out of a good breakfast cup — that is,the cylindrical type of cup, not the flat, shallow type. The breakfastcup holds more, and with the other kind one’s tea is always half coldbefore one has well started on it. Ninthly, one should pour the cream off the milk before using itfor tea. Milk that is too creamy always gives tea a sickly taste. Tenthly, one should pour tea into the cup first. This is one ofthe most controversial points of all; indeed in every family inBritain there are probably two schools of thought on the subject. The milk-first school can bring forward some fairly strong arguments, butI maintain that my own argument is unanswerable. This is that, by putting the tea in first and stirring as one pours, one can exactlyregulate the amount of milk whereas one is liable to put in too muchmilk if one does it the other way round. Lastly, tea — unless one is drinking it in the Russian style — should be drunk without sugar. I know very well that I am in aminority here. But still, how can you call yourself a true tea-lover ifyou destroy the flavour of your tea by putting sugar in it? It wouldbe equally reasonable to put in pepper or salt. Tea is meant to bebitter, just as beer is meant to be bitter. If you sweeten it, you areno longer tasting the tea, you are merely tasting the sugar; you couldmake a very similar drink by dissolving sugar in plain hot water.
Some people would answer that they don’t like tea in itself, that they only drink it in order to be warmed and stimulated, and they need sugar to take the taste away. To those misguided people I would say: Try drinking tea without sugar for, say, a fortnight and it is very unlikely that you will ever want to ruin your tea by sweetening it again.
These are not the only controversial points to arise in connexion with tea drinking, but they are sufficient to show how subtilized the whole business has become. There is also the mysterious social etiquette surrounding the teapot (why is it considered vulgar to drink out of your saucer, for instance?) and much might be written about the subsidiary uses of tealeaves, such as telling fortunes, predicting the arrival of visitors, feeding rabbits, healing burns and sweeping thecarpet. It is worth paying attention to such details as warming the pot and using water that is really boiling, so as to make quite sureof wringing out of one’s ration the twenty good, strong cups of thattwo ounces, properly handled, ought to represent.
George Orwell, 1946

Il Vecchio

venerdì 2 maggio 2014

La parabola dei tre cacciatori

Loro erano stupidi, allora egli raccontò alla folla la seguente parabola:
"C'erano una volta tre cacciatori, i quali, stanchi della solita selvaggina decisero affrontare la sfida più ardua di tutte, cacciare l'Uccello, unico nella sua specie e padrone del cielo. I tre, entrambi esperti cacciatori iniziarono i preparativi. Il primo iniziò con lo studiare tutti i venti, le stagioni migliori per la caccia, le abitudini alimentari dell'animale, mentre il secondo tirò fuori il suo fucile ed inizio a calibrarlo, a scegliere i proiettili giusti, il mirino più adatto, mentre il terzo, controllò la funzionalità del suo arco e preparò lo zaino con le provviste necessarie. Cosi, una volta finiti i preparativi, i tre partirono. Dopo qualche giorno di ricerca iniziò a tirare un forte vento da ovest ed il primo immediatamente decise di fermarsi, perché doveva rivedere le sue carte e cambiare le sue previsioni in base ai recenti avvenimenti. Gli altri due continuarono. Dopo una settimana una forte pioggia arrivò da est, ed allora il secondo, preoccupato per i suoi sofisticati strumenti, si fermò in una grotta, attendendo la fine delle intemperie. Il terzo cacciatore rimase solo, ma determinato a portare a termine la sua cattura, e continuò, affidandosi al suo istinto ed alla sua esperienza. Soffrì il freddo e la fame, e spesso pensò di tornare indietro, ma la sua brama dell'animale era troppo forte. Mai abbandonò la speranza di riuscirlo a prendere."
A quel punto un fariseo lo interrogò: "Maestro ed il terzo cacciatore riusci a catturare l'Uccello?"
Egli rispose: "Sicuramente è quello che più gli sarà andato vicino e che più di tutti lo avrà desiderato."
Nessuno capì, e la folla si disperse ed il predicatore rimase solo.
-Prometeo

venerdì 25 aprile 2014

Sympathy for the civil war

In guerra ci sono vivi e morti
in pace solo vivi morti.

La festa della Liberazione è l'apoteosi della mediocrità. Non possiamo cagarci sopra. Paladini del medio, felini addomesticati -castrati- dobbiamo stare zitti. Ma fregandocene del lecito, molliamo stronzi sul venticinque aprile.
La motivazione è semplice: festeggiare il trionfo satanico della pace è sbagliato.
Evviva lo stivale della casalinga! il lavoro! la sborra senza orgasmo! i banchetti senza sangue!
La pace è nulla.
La guerra civile era Arte transustanziata.
Che si fosse partigiani, fascisti, repubblichini, comunisti, è uguale.
Il tumulto ferino, la selvatichezza, la follia del fucile, il ruggito del bombardiere erano tutto.
La guerra civile era Arte fatta carne.
L'artista nel duemila è un'onanista che gode poco. Il quarantacinque era un'orgia col mondo.
Il pensiero se non è accompagnato dall'azione è soltanto perversione.
Sparare al nemico è come scrivere, soltanto che uno è tutto l'altro è niente.
Per fare della propria esistenza, Vita, bisogna fare dell'arte, atto.
La guerra civile era tutto questo.
Ma era anche disertori piagnucolosi, donne commosse, pucciose staffette partigiane, retorica dell'adipe: per questo ha vinto la pace.
Io il 25 aprile vesto a lutto.


Antonio De Oliveira Salazar

domenica 20 aprile 2014

L'unico scopo della Fede

Questo mondo, che vuole ridurre la Fede a un attrezzo da manovale per la felicità, merita solo disgrazie. La Fede deve essere fine unico e ultimo. O meglio: la Fede deve porsi l'unico obiettivo di lodare Dio. Dal momento in cui, per mezzo di un atto di amore e di fiducia, si accetta l'idea per cui siamo tutti figli di Dio, l'unico scopo deve essere quello di renderGli grazie, di renderGli grazie per aver ricevuto in dono la Vita e il Creato, senza pretendere nulla in cambio e, in particolare, senza aspettarsi di stare meglio. 
Al rogo tutti i preti, tutti i vescovi, tutti i cardinali che cercano giorno dopo giorno di svendere la Fede come bagnoschiuma in sconto, promettendo in cambio la felicità, terrena ed eterna. La felicità, in linea di principio, non deve essere legata in nessun modo al proprio amore verso Dio. Se poi Lui vorrà essere così misericordioso da ripagare le nostre preghiere con il benessere, noi lo prenderemo ben volentieri; ma ci deve essere da parte nostra una totale disponibilità alla sofferenza, al dolore e, in definitiva, a qualsiasi Sua volontà, per quanto essa possa essere difficile e traumatica.
C'è chi sostiene che credere rende felici in quanto si ha la salda consapevolezza che, nonostante tutte le tribolazioni della vita, si verrà ripagati nell'eternità. Devo ammettere che le mie orecchie ascoltano con un po' di disgusto queste parole.
È melma, niente più che melma l'atteggiamento di chi crede perché spera in una salvezza eterna. Forse, allora, meglio la predestinazione: quantomeno, questa perversa psicologia non è più ammessa, anche se, a dirla tutta, qualche insidia permane: perché è vero che non si può più amare Dio con lo scopo di ottenere un posto di fianco agli angeli; ma è altrettanto vero che lo si fa - così si dice - per piacerGli, per cadere nelle grazie dell'Altissimo: e allora è sempre fare qualcosa per ottenere qualcos'altro.
Forse, ha ragione per davvero chi dice che, per natura, l'uomo non è capace di gesti pienamente disinteressati. Io, perlomeno, non ne conosco. Ogni azione che nella vita ho compiuto e ho visto compiere e ho provato a immaginare aveva uno scopo, una volontà di essere, in un modo o nell'altro, ripagata. Anche i gesti in apparenza più solidali e più generosi nascondono un crudo desiderio di ritorno.
Detto questo, e ammesso che sia vero, l'amore verso Dio deve essere lo sforzo massimo dell'uomo verso l'ideale di un gesto assolutamente gratuito. E allora, per favore, si smetta di ingannare i fedeli in maniera così perfida, cercando di intrappolarli in una squallida rete da pesca, proponendo la Fede come rimedio all'infelicità, alla non-consapevolezza e ad altri disagi terreni del genere. Che poi essa, la Fede, sia effettivamente un tramite per la felicità, è tutt'altro discorso, che niente ha a che vedere con quanto ho scritto. Magari un'altra volta se ne parlerà; ma così, a occhio e croce, mi sembra che l'argomento sia un tantino delicato, soprattutto messo a confronto con la semplicità intellettuale di queste poche righe.


Ruhollah

lunedì 14 aprile 2014

Storia di R.

Nella stupenda Russia dello zar Nicola II, mica un pivello insomma, spicca una figura molto interessante: in un luogo imprecisato della Siberia, in un giorno altrettanto imprecisato del gennaio 1869 nasce Gigorij Rasputin, da genitori contadini, unico di dieci figli ad aver superato l’anno di vita. La sua infanzia e la sua adolescenza furono all’insegna della campagna, dell’ignoranza, della malattia e della sfiga. A diciotto anni spaccati si sposò e, essendo probabilmente arrapato di continuo, in breve tempo ebbe sette figli, cinque dei quali presero i geni della scalognata famiglia paterna e morirono non più tardi dei tre anni. Pochi anni dopo, stanco di scopare, intraprese lunghi pellegrinaggi, essendo stato attratto fin da piccolo dal misticismo e dalla religione e in questo periodo incontrò movimenti, idee e persone che segnarono e migliorarono la sua vita: aderì a una congregazione clandestina di riti orgiastici, frequentò il Movimento nazionalista dei veri russi, studiò tecniche di guarigione tramite poteri sciamanici e riuscì ad allestire a San Pietroburgo una rete di relazioni con vari nobili e a rendersi famoso in quell’ambiente per le sue capacità di mistico. Così nel 1905 riuscì ad approdare alla corte di Nicola II e fu assunto principalmente per prendersi cura del piccolo zarevic Aleksej, il giovane figlio dello zar, affetto da emofilia: i medici prima provavano a curarlo come avrebbe fatto la loro nonna con loro, con l’aspirina, che però non faceva altro che aggravare le emorragie. Quindi quando Rasputin si prese il compito di cercare di guarire il piccolo, egli, semplicemente pregando (e perciò non somministrando aspirina, che è quello che conta) migliorò visibilmente la sua salute e i genitori si innamorarono di questo strano monaco. In particolare la zarina Alessandra ne era totalmente ammaliata, tant’è che negli anni successivi lo zar cercò di isolare lentamente Rasputin, dato la corte faceva troppo affidamento sulla sua opinione, in qualsiasi ambito, compreso quello politico. Il suo carisma mistico esercitò sulla famiglia Romanov un'influenza così intensa da dare adito a molte congetture: si giunse al punto che le numerose segnalazioni sul suo intenso libertinaggio con le dame dell'aristocrazia venivano regolarmente smentite dalla coppia reale, talvolta anche con la punizione degli zelanti segnalatori.
Molto curiosa la vicenda della sua morte: una notte d’inverno se la stava bellamente polleggiando dopo un’abbondante cena con alcuni ospiti, esponenti della nobiltà russa, a casa del presunto sodomita Jusupov, marito della nipote dello zar, a San Pietroburgo. Situazione apparentemente tranquilla. Offrirono al vecchio Gregorio un ultimo calice di ottimo madera, per gustare al meglio i pasticcini e il guanabana, squisito frutto tropicale. Il bastardo (ovviamente sto parlando di Jusupov) fece però versare insieme al vino anche del cianuro, con l’intento di avvelenare il suo ospite. Questi bevve come un ubriacone, ma senza che il veleno desse alcun segnale: boh, tipo sangue dalle orecchie, bava o schiuma dalla bocca, convulsioni… niente di niente! Il fisico del mistico (forse aiutato in un qualche modo dal guanabana) sembrava aver assimilato il veleno senza alcun effetto per la salute. Quindi il rancoroso nobile decise di passare al piano B, un classico che non ha età, infallibile: dopo una decina di minuti, in cui ha aspettato ancora il cianuro, sperando di non doversi esporre, estrasse il ferro da un cassetto e piantò un colpo nel fianco al povero Rasputin, il quale, a quel punto si accasciò a terra, sofferente. Dopo poco però, grazie alla sua strepitosa forza fisica si riebbe, anche se sconvolto dall’accaduto. Ovviamente Jusupov non era d’accordo e gli sparò un ulteriore colpo, questa volta sulla schiena, dritto al cuore. Questo sembrò l’ultimo passo per il vecchio, che sanguinava e urlava, il poveraccio, mentre il nobile e gli altri complici erano tesi, volevano assicurarsi della sua morte. E facevano bene a preoccuparsene, perché dopo pochissimi minuti Grigorij si rialzò per la seconda volta, però con addirittura ancor più vigore in corpo, tanto che tentò anche una fuga verso il giardino. Nel rincorrerlo gli spararono l’ennesimo colpo, ferendolo ad una gamba, poi lo raggiunsero e percossero con violenza il suo corpo, forte ma quasi completamente stremato dalle ferite ed egli, finalmente, perse conoscenza. Gli stronzi però avevano capito di aver a che fare con uno tosto e pensarono bene di legarlo, arrotolarlo in un tappeto, menarlo per altri dieci minuti buoni e infine gettarlo nel vicino canale Fontanka. Tornarono così contenti al castello. Giustamente contenti perché il giorno successivo il corpo del monaco venne ritrovato a tre chilometri di distanza, sulla riva del fiume, ovviamente, morto. Fu sottoposto all’autopsia e il risultato fu sorprendente: non c’era alcuna traccia di veleno nel suo corpo, in più fu trovata acqua nei suoi polmoni, segno che quando fu buttato nel fiume era ancora vivo e morì quindi affogato. Inoltre, vista la disposizione della salma quando fu ritrovata (segni sugli arti e pantaloni calati), egli tentò più volte di slegarsi e liberarsi, ma, non riuscendoci, il suo ultimo gesto fu il segno della croce. Il cadavere venne quindi sepolto al cimitero, ma dopo pochi giorni venne riesumato e bruciato ai bordi di una strada.


E tutto questo poi, in verità, solo perché erano tutti invidiosi del suo enorme cazzo.

Il Vecchio




domenica 13 aprile 2014

Abbandonare tutto.


La fuga nella vita chi lo sa...
...che non sia proprio lei la quintessenza.
P. Conte

Mattina. Sveglio. Guardi lo specchio. Ti dici: che cazzo stai facendo?
No. Non è vero. In realtà sei il solito stronzo che la mattina si alza, prende su e va a fare le solite stronzate.
Non c'è un motivo particolare. Abitudine. Che altro dovresti fare?
A ventun'anni il futuro dovrebbe aprire le gambe e farsi fottere: tutto da fare. tutto ancora possibile.
Una scopata gustosa.
Invece è già tutto deciso. Figli, lavoro, pensione, televisione, funerale.
È un problema di fantasia. Nihilismo. Non sappiamo cosa fare. Ci troviamo a divorare ottanta anni di vita e non sappiamo con che cazzo condirli. Ingurgitiamo tutto insipido e controvoglia. Una cazzo di pastiglia
Sparati, merda, se non hai fame!
E cosa dovrei fare?
Bombarda Nagasaki con l'atomica.
Vai a piedi a Vladivostok.
Spara a Dio, al Diavolo, e torna giù per bruciare tutto.
Ma chi cazzo ne ha la sbatta e poi, sinceramente, non me ne frega niente.
Dopotutto siamo così stronzi da lamentarci della strada che vogliamo percorrere. Nessun fucile ti costringe a ingravidare una donna. Sei te che lo stai facendo. Perché a vent'anni ti sei iscritto all'università? Non potevi giustiziare turisti giapponesi a Roma?
Siamo mediocri e ci sentiamo grandi dentro in maniera latente.
Se fossimo persone eccellenti non saremmo qui a scrivere, saremmo sul tetto del mondo a cagare in testa alla gente.
Invece piove merda.
L'ultimo appiglio è la fuga.
Del resto siamo dei vigliacchi. La risoluzione del vigliacco è la fuga. Potremmo prendere la vita per le corna e malmenarla. Staccarle con un morso l'orecchio. Ma non siamo buoni. E senza neanche un livido lo prendiamo nel culo.
Fuga.
La fuga è l'unica risoluzione onesta, per chi sa che sarà sconfitto. Combattere fino alla morte per Qualcosa sarebbe più onorevole. Ma se l'alternativa è prenderlo passivamente nel culo perché non si sa cosa fare, allora tanto vale fuggire.
È più onorevole.
La fuga deve essere fuga. Non ha senso andare dall'altra parte del mondo ad aprire un bar: la vita ha sempre il cazzo in tiro e il tuo culo è sempre ricoperto di vasellina.
Se la decisione è la fuga. Bisogna fuggire. Bisogna correre come degli ossessi, nascondersi. Rubare quel che si può.
Nel fuggire abbiamo un'impressione di vita, sentiamo il boato del nemico inseguitore, la stanchezza ci ammazza, il sudore ci fa sentire d'esserci. Magari ci potremmo permettere anche il lusso di qualche azione di guerriglia: potremmo sputare in testa anche noi da una collina a quei camerati che non hanno avuto le palle di fuggire.

Conquista l'Asia e fatti adorare come un Dio o fuggi, sputa, crepa.
Le vie di mezzo le lasciamo ai mediocri.

Antònio de Oliveira Salazar

sabato 29 marzo 2014

Rivisitazione de "Le metamorfosi del vampiro"

La donna mentre si torceva come una serpe sulla brace
e ammaccava i seni tra le stecche del suo busto
lasciava scorrere dalla sua bocca di fragola
queste parole tutte impregnate di muschio:
- Ho le labbra umide io e lo so come si fa
a perdere l'antica coscienza in fondo a un letto.
Asciugo ogni lacrima sui miei seni trionfanti col riso dei bambini.
Per chi mi vede nuda e senza veli, io sono
la luna, il sole, il cielo e le stelle!
Caro sapiente, sono cosi esperta in voluttà
quando soffoco un uomo tra le mie temute braccia
o abbandono il mio petto ai suoi rimorsi,
sonoo cosi timida e libertina, fragile e robusta,
che su questi materassi conturbanti d'emozione
si dannerebbero per me anche gli Angeli impotenti!-

E mi succhiò fin al midollo delle ossa!
Allora mi volsi a lei languidamente
per darle un bacio d'amore, e cosa vidi?
Soltanto un grosso cetaceo unto e tutto pus!
Che gelido orrore! Chiusi gli occhi
e quando li riaprii alla viva luce non c'era più
l'obeso mostro, no:
ma c'era una dentato tricheco, dai lunghi baffi
e dalla coda slabbrata! Disgusto!
Perso, nel vento gelido dell'inverno,
lasciai l'animale alle porte della notte,
spiaggiato e solo.
Che l'inferno abbia pietà dell'anima mia!
-Prometeo

domenica 23 marzo 2014

Sul Demonio

Non agli atei, alle persone di scienza, a chi vuole ridurre il Mistero a un triste passatempo da consumare all'ombra del sole estivo: a voi non ho niente da dire, e niente da offrire, se non l'auspicio che possiate un giorno guardare al di là della nostra misera ragionevolezza; non a voi dunque; a voi invece mi rivolgo, ardenti fedeli, che proteggete fra le vostre mani il Santo Vangelo, come fa la mamma con il languido figliolo; a voi, che passeggiate offrendo la fronte al cielo, portatori di un'idea magnifica, ambiziosi sognatori di un mondo perfetto, libero da rigide catene di numeri, colmo di splendide analogie... A voi.
Non prenda forma sul vostro viso una smorfia, vi prego, quando andrete a leggere quanto segue. Provate piuttosto ad avere pietà per un povero peccatore e per le sue parole peccatrici; e a scorrerle con leggerezza, come fareste se doveste leggere una favola al vostro nipotino, ormai prossimo a chiudere gli occhi e ad abbandonare la coscienza ad un sogno docile e ingenuo.


Parliamo di Satana, cari miei. Del Demonio, di Lucifero, chiamatelo come volete. Parlo di lui perché secondo me è un gran bel personaggio. Mi rivolgo a un pubblico ridotto perché così non devo perder tempo a discutere di argomenti che sono privi di interesse, come la esistenza o la non-esistenza o altre baggianate del genere. Qualsiasi persona dotata di buon senso sa che il Demonio esiste, e non ho voglia di parlarne.
Andiamo con ordine. Voi, fedeli: siete davvero sicuri di quel che andate dicendo? Sempre che le voci che arrivano alle mie orecchie sian vere, ci mancherebbe: allora preciso cosa intendo. Mi risulta che voi non apprezziate particolarmente Satana, non è così? Mi risulta che al solo sentir pronunciare il suo nome il vostro cuore sobbalzi, e dentro di voi ci sia un meccanico che lo stringe come fa con la chiave inglese quando il bullone non ne vuol saper di girare; e che la vostra faccia si giri dall'altra parte, in preda a una smorfia di paura e di disgusto; e che i muscoli si contraggano, le dita si allunghino fino ad essere diritte; e così via. Tutte cose brutte, insomma. Allora io chiedo: perché? Perché tanta paura, tanto timore, tanto scetticismo? Non siete forse voi a parlare di amore, di fratellanza, di disponibilità all'ascolto? Volete forse dirmi che lui non ha diritto a tutto questo? Volete forse dirmi che voi non avete mai peccato al suo stesso modo? che non vi siete mai sentiti, neppure per un attimo, più importanti, o anche solo indipendenti, autonomi rispetto all'Onnipotente? Ah, non vi credo, cari miei, non vi credo. Vi rispetto molto, e penso di avervelo dimostrato rivolgendomi solo a voi; ma qui io mi faccio da parte e dico che no, secondo me sbagliate, secondo me dovreste affrontare la faccenda con più onestà.
Perché io metto entrambe le mani sul fuoco mentre affermo che voi, come lui, avete almeno una volta nella vita mosso guerra a Dio. Forse non con le armi, perché non lo vedete e dunque non ne siete capaci; ma altri tipi di guerre, addirittura più meschine, guerre combattute roteando in aria la vile spada del ricatto, del ridicolo ricatto all'Onnipotente, quelle sì, le avete combattute in prima fila. E ora soffermatevi un attimo a pensare al trattamento che Dio ha riservato a voi e a quello che ha riservato a lui.
A voi cosa? Niente, signori, niente! Spero non avrete il coraggio di menzionare quella sera in cui avete comprato e ricomprato cartelle ma niente, nemmeno un ambo; oppure quella volta, l'unica volta in cui la vostra cintura non era allacciata e la polizia vi ha fermato, quando era da più di un anno che la paletta bianca e rossa non sbarrava il vostro cammino; oppure altre sciocchezze del genere.
Ma signori, veniamo a lui, adesso: signori, un volo interminabile! Una caduta dal punto più alto dell'Universo, il Regno dei Cieli, al punto più basso, l'Inferno. Sapete quanto è lungo un tragitto del genere? Provate a pensare a quando portate i vostri figli al parco divertimenti, e, da buoni padri quali siete, li accompagnate sui giochi, per far loro forza nei momenti di paura. Provate a pensare alle emozioni di quei pochi secondi di vuoto d'aria. Emozioni bellissime, certo, ma estreme, adatte a tempi brevi. Adesso immaginate che quei pochi secondi si dilatino, e che voi, invece che pochi metri, percorriate a testa in giù una distanza che ai nostri occhi appare infinita; e allora vi renderete conto di cosa intendo. La punizione è indiscutibilmente non equa! O meglio, signori, non fraintendetemi: essendo opera dell'Altissimo, è certamente equa; quello che voglio dire è che dovreste ritenervi parecchio fortunati per aver ricevuto un trattamento, per così dire, di favore. Volete dir di no? Da una parte una multa di qualche decina di euro e dall'altra un volo interminabile, pieno di sofferenza e di agonia. Ah, non c'è neanche da discutere, signori, sarebbe come parlar del niente; e dunque facciamo un passo avanti.
Anzi, facciamolo indietro, il passo: parliamo cioè della sua condizione prima della caduta.
Le Scritture lo definivano come "un cherubino dalle ali distese, un protettore". I cherubini sono fra gli angeli più importanti: risiedono "oltre il trono di Dio", e hanno il compito di sorvegliare la luce e le stelle. Ora, più penso ai Cherubini e più mi convinco che ci deve esser stato qualche intoppo, forse qualche errore di trascrizione, di traduzione, qualcosa che abbia deformato drasticamente il loro ruolo: perché non è mica possibile che gli angeli più importanti se ne debbano stare lì, fermi, con la faccia annoiata e col mento costantemente sorretto da una mano, con l'unico scopo di controllare che nessun malintenzionato faccia del male alla luce e alle stelle. Dovessero controllare dei bambini agitati, sarebbe già meglio: almeno non starebbero fermi un secondo e allora bisognerebbe darsi da fare per correr dietro a quei malandrini. Ma la luce e le stelle! Mi risulta sia roba che non si muove; e sai che divertimento doverla sorvegliare?
Se invece penso ai serafini, allora sì che la faccenda mi è già più chiara: loro amano, amano Dio, e cantano lodi, e cantano la musica delle sfere... Un passatempo decisamente più interessante!
Dunque potete immaginare Lucifero seduto insieme a tutti i colleghi a guardar degli oggetti che stan fermi. Peggio che stare in stazione ad aspettare il treno in ritardo di qualche ora.
Credo che a questo punto qualsiasi persona ragionevole - come siete voi, carissimi - possa tranquillamente concludere che Lucifero sia stato l'unico ad avere il coraggio di ribellarsi a questa magra esistenza. È un po' come quando qualcuno evade di prigione: lo vorrebbero far tutti, però solo pochi hanno il coraggio di abbattere il muro dell'abitudine e andare così incontro alle proprie responsabilità. Se per strada incontrate un cherubino, provate a chiedergli se è felice: vi risponderà che piuttosto che guardar tutto il giorno delle stelle, sempre quelle, farebbe volentieri il muratore a Palermo in agosto. Però ormai son tanti anni che lo fa, e alla fine sta pur sempre oltre il trono di Dio, quindi va bene così dai.
Al diavolo! Lucifero ha tutta la mia stima! Io amo le persone coraggiose, e lui è il padre del coraggio, il primo che ha osato ribellarsi allo status quo.
Adesso invece sì che facciamo un bel passo in avanti: diamo un'occhiata alla sua condizione dopo la caduta.
Credo che negare il suo fascino non sarebbe onesto. Per mille motivi diversi. Ad esempio, un'antica tradizione lo descrive come colui che si fa piccolo con i grandi e grande con i piccoli. Questa tradizione voleva dipingere un quadro negativo, ma per me ha ottenuto l'effetto opposto. Voglio dire, è sinonimo di intelligenza o sbaglio?  Per quanto mi riguarda è atteggiamento rispettabilissimo quello di una persona che quando può sottomette il prossimo, e quando non può cerca di schivare il piedone del gigante: perché sa bene che se provasse ad opporsi otterrebbe il solo risultato di essere schiacciata. E poi lo fanno tutti, dai, chi più chi meno ma lo fanno tutti; e allora molto meglio esserne consapevoli e agire alla luce del sole piuttosto che nascondersi dietro a improbabili finzioni.
So bene che se queste parole riecheggiassero in una qualsiasi piazza del mondo si leverebbe un coro di sdegno; e sono certo di conoscere abbastanza bene la natura delle persone che si alzerebbero in piedi a sventolare il fazzoletto della morale: è per questo che in principio ho ristretto drasticamente il pubblico a cui ho deciso di rivolgermi. In questo modo, sono sicuro che il volume della protesta non sarà tale da disturbare il ragionamento.
Ragionamento che prosegue nella lode al fascino di Satana.
Il bene è perfetto, è pulito, è lineare, è inattaccabile; e allo stesso tempo, proprio come conseguenza di queste virtù, è prevedibile, è troppo limpido perché non se ne veda perfettamente il principio e la fine. Il male invece è tutt'altro. È torbido e arrabbiato e, come un fiume in piena, non rivela tutti i propri segreti, ma li nasconde dietro una massiccia muraglia di acqua marcia; ed è questa sua natura squallida e misteriosa che lo rende così intrigante. Prendiamo ad esempio le tentazioni di Gesù. Gesù, dopo esser stato battezzato, digiuna a lungo nel deserto. E qui, come una serpe velenosa, il Diavolo spunta da chissà dove e cerca in tutti i modi di tentarlo. Leggiamo il racconto di Luca:

Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto
dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame.
Allora il diavolo gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane".
Gesù gli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo".
Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse:
"Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio.
Se ti prostri dinnanzi a me tutto sarà tuo".
Gesù gli rispose: "Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai".
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù;
sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano;
e anche: essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra".
Gesù gli rispose: "È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo".
Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.

Ora, è superfluo premettere che Gesù è nel giusto e Satana invece no; e prima di procedere ringraziamo tutti insieme Gesù, perché è stato in grado di resistere e di regalarci così un insegnamento di rara importanza. Allo stesso tempo, però, riconosciamo a Satana una spiccata qualità artistica: perché bisogna essere degli ottimi artisti per guardare in faccia Gesù e dirgli che la Terra è stata messa nelle sue mani (di Satana), e a lui (a Satana) è concesso di darla a chi vuole. Ma signori, parlava con Gesù, cioè Dio fatto a carne ed ossa, Dio creatore di tutto e di tutti, Satana compreso! e nonostante questo, il Demonio ha avuto la faccia tosta di spacciarsi per una sorta di padrone del creato, sapendo in anticipo di non poter in nessun modo imbrogliare l'interlocutore. Satana, lasciatemelo dire, oltre ad essere il padre dei coraggiosi, è anche il padre di tutti gli artisti, di tutti i napoletani, di tutti gli spiriti scherzosi e impudenti.
E ci sarebbero un sacco di altri esempi da portare in favore di questo povero Angelo degli Inferi, attaccato ormai da tutti e relegato quasi esclusivamente a culti oscuri che - è innegabile - sono bellissimi ma che da soli non riescono ad esprimere a pieno tutta la sua bellezza.
Ormai dovrebbe esser chiaro il perché di questo mio scritto. Io vorrei con ardore che voi, carissimi fratelli, che vi inginocchiate dinnanzi alla Madonna e che ringraziate Dio per tutto quello che vi dà, vorrei che voi rivalutaste l'idea che vi siete fatti del Demonio. O che quantomeno ci provaste. Non che dobbiate iniziare a inneggiare a lui eh, questo no: l'Altissimo è uno e uno solo, e non si devono aver dubbi. Quello che vorrei da voi è una rivalutazione artistica: pur continuando a considerare Satana come il nemico, sarebbe bello se riconosceste in lui un fascino profondo, una misteriosa bellezza, un'autentica dignità che niente ha a che vedere con il bene e con il male, ma che caratterizza semplicemente il lato umano di un'entità così complessa.
Pensateci su; e sono sicuro che la prossima volta che ci incontreremo mi direte che ci son cose ben peggiori del Diavolo; e quando andremo a cena insieme, e ci verrà servito un piatto di lasagne che assomiglierà invece a una zuppa per cani, direte che piuttosto che mangiare quella porcheria sareste disposti a dormire una notte intera in compagnia di Satana in persona; e io sarò ben felice di avere in qualche modo aperto i vostri occhi, che per troppi anni sono rimasti chiusi, prigionieri della paura e del pregiudizio verso uno dei più grandi individui di questa esistenza.

Ruhollah