Al rogo tutti i preti, tutti i vescovi, tutti i cardinali che cercano giorno dopo giorno di svendere la Fede come bagnoschiuma in sconto, promettendo in cambio la felicità, terrena ed eterna. La felicità, in linea di principio, non deve essere legata in nessun modo al proprio amore verso Dio. Se poi Lui vorrà essere così misericordioso da ripagare le nostre preghiere con il benessere, noi lo prenderemo ben volentieri; ma ci deve essere da parte nostra una totale disponibilità alla sofferenza, al dolore e, in definitiva, a qualsiasi Sua volontà, per quanto essa possa essere difficile e traumatica.
C'è chi sostiene che credere rende felici in quanto si ha la salda consapevolezza che, nonostante tutte le tribolazioni della vita, si verrà ripagati nell'eternità. Devo ammettere che le mie orecchie ascoltano con un po' di disgusto queste parole.
È melma, niente più che melma l'atteggiamento di chi crede perché spera in una salvezza eterna. Forse, allora, meglio la predestinazione: quantomeno, questa perversa psicologia non è più ammessa, anche se, a dirla tutta, qualche insidia permane: perché è vero che non si può più amare Dio con lo scopo di ottenere un posto di fianco agli angeli; ma è altrettanto vero che lo si fa - così si dice - per piacerGli, per cadere nelle grazie dell'Altissimo: e allora è sempre fare qualcosa per ottenere qualcos'altro.
Forse, ha ragione per davvero chi dice che, per natura, l'uomo non è capace di gesti pienamente disinteressati. Io, perlomeno, non ne conosco. Ogni azione che nella vita ho compiuto e ho visto compiere e ho provato a immaginare aveva uno scopo, una volontà di essere, in un modo o nell'altro, ripagata. Anche i gesti in apparenza più solidali e più generosi nascondono un crudo desiderio di ritorno.
Detto questo, e ammesso che sia vero, l'amore verso Dio deve essere lo sforzo massimo dell'uomo verso l'ideale di un gesto assolutamente gratuito. E allora, per favore, si smetta di ingannare i fedeli in maniera così perfida, cercando di intrappolarli in una squallida rete da pesca, proponendo la Fede come rimedio all'infelicità, alla non-consapevolezza e ad altri disagi terreni del genere. Che poi essa, la Fede, sia effettivamente un tramite per la felicità, è tutt'altro discorso, che niente ha a che vedere con quanto ho scritto. Magari un'altra volta se ne parlerà; ma così, a occhio e croce, mi sembra che l'argomento sia un tantino delicato, soprattutto messo a confronto con la semplicità intellettuale di queste poche righe.
Ruhollah
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