lunedì 14 aprile 2014

Storia di R.

Nella stupenda Russia dello zar Nicola II, mica un pivello insomma, spicca una figura molto interessante: in un luogo imprecisato della Siberia, in un giorno altrettanto imprecisato del gennaio 1869 nasce Gigorij Rasputin, da genitori contadini, unico di dieci figli ad aver superato l’anno di vita. La sua infanzia e la sua adolescenza furono all’insegna della campagna, dell’ignoranza, della malattia e della sfiga. A diciotto anni spaccati si sposò e, essendo probabilmente arrapato di continuo, in breve tempo ebbe sette figli, cinque dei quali presero i geni della scalognata famiglia paterna e morirono non più tardi dei tre anni. Pochi anni dopo, stanco di scopare, intraprese lunghi pellegrinaggi, essendo stato attratto fin da piccolo dal misticismo e dalla religione e in questo periodo incontrò movimenti, idee e persone che segnarono e migliorarono la sua vita: aderì a una congregazione clandestina di riti orgiastici, frequentò il Movimento nazionalista dei veri russi, studiò tecniche di guarigione tramite poteri sciamanici e riuscì ad allestire a San Pietroburgo una rete di relazioni con vari nobili e a rendersi famoso in quell’ambiente per le sue capacità di mistico. Così nel 1905 riuscì ad approdare alla corte di Nicola II e fu assunto principalmente per prendersi cura del piccolo zarevic Aleksej, il giovane figlio dello zar, affetto da emofilia: i medici prima provavano a curarlo come avrebbe fatto la loro nonna con loro, con l’aspirina, che però non faceva altro che aggravare le emorragie. Quindi quando Rasputin si prese il compito di cercare di guarire il piccolo, egli, semplicemente pregando (e perciò non somministrando aspirina, che è quello che conta) migliorò visibilmente la sua salute e i genitori si innamorarono di questo strano monaco. In particolare la zarina Alessandra ne era totalmente ammaliata, tant’è che negli anni successivi lo zar cercò di isolare lentamente Rasputin, dato la corte faceva troppo affidamento sulla sua opinione, in qualsiasi ambito, compreso quello politico. Il suo carisma mistico esercitò sulla famiglia Romanov un'influenza così intensa da dare adito a molte congetture: si giunse al punto che le numerose segnalazioni sul suo intenso libertinaggio con le dame dell'aristocrazia venivano regolarmente smentite dalla coppia reale, talvolta anche con la punizione degli zelanti segnalatori.
Molto curiosa la vicenda della sua morte: una notte d’inverno se la stava bellamente polleggiando dopo un’abbondante cena con alcuni ospiti, esponenti della nobiltà russa, a casa del presunto sodomita Jusupov, marito della nipote dello zar, a San Pietroburgo. Situazione apparentemente tranquilla. Offrirono al vecchio Gregorio un ultimo calice di ottimo madera, per gustare al meglio i pasticcini e il guanabana, squisito frutto tropicale. Il bastardo (ovviamente sto parlando di Jusupov) fece però versare insieme al vino anche del cianuro, con l’intento di avvelenare il suo ospite. Questi bevve come un ubriacone, ma senza che il veleno desse alcun segnale: boh, tipo sangue dalle orecchie, bava o schiuma dalla bocca, convulsioni… niente di niente! Il fisico del mistico (forse aiutato in un qualche modo dal guanabana) sembrava aver assimilato il veleno senza alcun effetto per la salute. Quindi il rancoroso nobile decise di passare al piano B, un classico che non ha età, infallibile: dopo una decina di minuti, in cui ha aspettato ancora il cianuro, sperando di non doversi esporre, estrasse il ferro da un cassetto e piantò un colpo nel fianco al povero Rasputin, il quale, a quel punto si accasciò a terra, sofferente. Dopo poco però, grazie alla sua strepitosa forza fisica si riebbe, anche se sconvolto dall’accaduto. Ovviamente Jusupov non era d’accordo e gli sparò un ulteriore colpo, questa volta sulla schiena, dritto al cuore. Questo sembrò l’ultimo passo per il vecchio, che sanguinava e urlava, il poveraccio, mentre il nobile e gli altri complici erano tesi, volevano assicurarsi della sua morte. E facevano bene a preoccuparsene, perché dopo pochissimi minuti Grigorij si rialzò per la seconda volta, però con addirittura ancor più vigore in corpo, tanto che tentò anche una fuga verso il giardino. Nel rincorrerlo gli spararono l’ennesimo colpo, ferendolo ad una gamba, poi lo raggiunsero e percossero con violenza il suo corpo, forte ma quasi completamente stremato dalle ferite ed egli, finalmente, perse conoscenza. Gli stronzi però avevano capito di aver a che fare con uno tosto e pensarono bene di legarlo, arrotolarlo in un tappeto, menarlo per altri dieci minuti buoni e infine gettarlo nel vicino canale Fontanka. Tornarono così contenti al castello. Giustamente contenti perché il giorno successivo il corpo del monaco venne ritrovato a tre chilometri di distanza, sulla riva del fiume, ovviamente, morto. Fu sottoposto all’autopsia e il risultato fu sorprendente: non c’era alcuna traccia di veleno nel suo corpo, in più fu trovata acqua nei suoi polmoni, segno che quando fu buttato nel fiume era ancora vivo e morì quindi affogato. Inoltre, vista la disposizione della salma quando fu ritrovata (segni sugli arti e pantaloni calati), egli tentò più volte di slegarsi e liberarsi, ma, non riuscendoci, il suo ultimo gesto fu il segno della croce. Il cadavere venne quindi sepolto al cimitero, ma dopo pochi giorni venne riesumato e bruciato ai bordi di una strada.


E tutto questo poi, in verità, solo perché erano tutti invidiosi del suo enorme cazzo.

Il Vecchio




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