Nella stupenda Russia dello zar Nicola II, mica un pivello
insomma, spicca una figura molto interessante: in un luogo imprecisato della
Siberia, in un giorno altrettanto imprecisato del gennaio 1869 nasce Gigorij
Rasputin, da genitori contadini, unico di dieci figli ad aver superato l’anno
di vita. La sua infanzia e la sua adolescenza furono all’insegna della
campagna, dell’ignoranza, della malattia e della sfiga. A diciotto anni
spaccati si sposò e, essendo probabilmente arrapato di continuo, in breve tempo
ebbe sette figli, cinque dei quali presero i geni della scalognata famiglia
paterna e morirono non più tardi dei tre anni. Pochi anni dopo, stanco di
scopare, intraprese lunghi pellegrinaggi, essendo stato attratto fin da piccolo
dal misticismo e dalla religione e in questo periodo incontrò movimenti, idee e
persone che segnarono e migliorarono la sua vita: aderì a una congregazione
clandestina di riti orgiastici, frequentò il Movimento nazionalista dei veri russi, studiò tecniche di
guarigione tramite poteri sciamanici e riuscì ad allestire a San Pietroburgo
una rete di relazioni con vari nobili e a rendersi famoso in quell’ambiente per
le sue capacità di mistico. Così nel 1905 riuscì ad approdare alla corte di
Nicola II e fu assunto principalmente per prendersi cura del piccolo zarevic
Aleksej, il giovane figlio dello zar, affetto da emofilia: i medici prima provavano
a curarlo come avrebbe fatto la loro nonna con loro, con l’aspirina, che però
non faceva altro che aggravare le emorragie. Quindi quando Rasputin si prese il
compito di cercare di guarire il piccolo, egli, semplicemente pregando (e
perciò non somministrando aspirina, che è quello che conta) migliorò
visibilmente la sua salute e i genitori si innamorarono di questo strano
monaco. In particolare la zarina Alessandra ne era totalmente ammaliata, tant’è
che negli anni successivi lo zar cercò di isolare lentamente Rasputin, dato la
corte faceva troppo affidamento sulla sua opinione, in qualsiasi ambito, compreso
quello politico. Il suo carisma mistico esercitò sulla famiglia Romanov
un'influenza così intensa da dare adito a molte congetture: si giunse al punto
che le numerose segnalazioni sul suo intenso libertinaggio con le dame
dell'aristocrazia venivano regolarmente smentite dalla coppia reale, talvolta
anche con la punizione degli zelanti segnalatori.
Molto curiosa la vicenda della sua morte: una notte
d’inverno se la stava bellamente polleggiando dopo un’abbondante cena con
alcuni ospiti, esponenti della nobiltà russa, a casa del presunto sodomita
Jusupov, marito della nipote dello zar, a San Pietroburgo. Situazione
apparentemente tranquilla. Offrirono al vecchio Gregorio un ultimo calice di
ottimo madera, per gustare al meglio i pasticcini e il guanabana, squisito
frutto tropicale. Il bastardo (ovviamente sto parlando di Jusupov) fece però
versare insieme al vino anche del cianuro, con l’intento di avvelenare il suo
ospite. Questi bevve come un ubriacone, ma senza che il veleno desse alcun
segnale: boh, tipo sangue dalle orecchie, bava o schiuma dalla bocca,
convulsioni… niente di niente! Il fisico del mistico (forse aiutato in un
qualche modo dal guanabana) sembrava aver assimilato il veleno senza alcun
effetto per la salute. Quindi il rancoroso nobile decise di passare al piano B,
un classico che non ha età, infallibile: dopo una decina di minuti, in cui ha
aspettato ancora il cianuro, sperando di non doversi esporre, estrasse il ferro
da un cassetto e piantò un colpo nel fianco al povero Rasputin, il quale, a
quel punto si accasciò a terra, sofferente. Dopo poco però, grazie alla sua
strepitosa forza fisica si riebbe, anche se sconvolto dall’accaduto. Ovviamente
Jusupov non era d’accordo e gli sparò un ulteriore colpo, questa volta sulla
schiena, dritto al cuore. Questo sembrò l’ultimo passo per il vecchio, che
sanguinava e urlava, il poveraccio, mentre il nobile e gli altri complici erano
tesi, volevano assicurarsi della sua morte. E facevano bene a preoccuparsene,
perché dopo pochissimi minuti Grigorij si rialzò per la seconda volta, però con
addirittura ancor più vigore in corpo, tanto che tentò anche una fuga verso il
giardino. Nel rincorrerlo gli spararono l’ennesimo colpo, ferendolo ad una
gamba, poi lo raggiunsero e percossero con violenza il suo corpo, forte ma
quasi completamente stremato dalle ferite ed egli, finalmente, perse
conoscenza. Gli stronzi però avevano capito di aver a che fare con uno tosto e
pensarono bene di legarlo, arrotolarlo in un tappeto, menarlo per altri dieci
minuti buoni e infine gettarlo nel vicino canale Fontanka. Tornarono così
contenti al castello. Giustamente contenti perché il giorno successivo il corpo
del monaco venne ritrovato a tre chilometri di distanza, sulla riva del fiume,
ovviamente, morto. Fu sottoposto all’autopsia e il risultato fu sorprendente:
non c’era alcuna traccia di veleno nel suo corpo, in più fu trovata acqua nei
suoi polmoni, segno che quando fu buttato nel fiume era ancora vivo e morì
quindi affogato. Inoltre, vista la disposizione della salma quando fu ritrovata
(segni sugli arti e pantaloni calati), egli tentò più volte di slegarsi e
liberarsi, ma, non riuscendoci, il suo ultimo gesto fu il segno della croce. Il
cadavere venne quindi sepolto al cimitero, ma dopo pochi giorni venne riesumato
e bruciato ai bordi di una strada.
E tutto questo poi, in verità, solo perché erano tutti
invidiosi del suo enorme cazzo.
Il Vecchio
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