Son duemila anni che, chi più chi meno, si sparano puttanate sull'Odissea (in particolare la cricca accademica
tedesca sempre pronta a contare gli “η”
e mai disposta a dedicare una sega a Nausicaa): uno stronzo aggiunto non farà la differenza.
Come i migliori insegnano il libro non
l'ho letto. Tanto la storia si sa: Ulisse dopo essersi spaccato a
Troia decide di tornare a casa. non ci riesce. alla fine ci riesce.
Ora, tutti quanti sentono Odissea e con
un'erezione celebrale dicono nostos: ritorno: Ritorno (di
Ulisse, s'intende), ma già qui s'ha difficoltà a trovarsi
d'accordo. Io mi sentirei più sereno a definirlo il Bummel (Nota:
Bummel breve viaggio
di piacere per fuggire dal tedio, passeggiata) d'Ulisse. Un bummel
che non rispetta i tempi della definizione propria, ma ne incarna lo
spirito.
Odisseo è l'eroe che fugge dall'accidenti del quotidiano con una nonchalance meridionale: si rende conto che il Mediterraneo è una sorta di allucinazione caraibica e ci sprofonda dentro come un sasso vizioso.
L'epicità del libro consiste tutta nella lotta con un destino infame e bipolare (sale di tutto ciò che è greco) che esige il ritorno di Odisseo al suo scoglio e allo stesso tempo glielo rende difficile (cfr. lbr. X, XI: qualsiasi cosa), e di una morale vigliacca ed esterna che toglie il gusto dell'edonismo all'eroe (cfr. lbr. IV,V,VI: Calipso...).
Odisseo è l'eroe che fugge dall'accidenti del quotidiano con una nonchalance meridionale: si rende conto che il Mediterraneo è una sorta di allucinazione caraibica e ci sprofonda dentro come un sasso vizioso.
L'epicità del libro consiste tutta nella lotta con un destino infame e bipolare (sale di tutto ciò che è greco) che esige il ritorno di Odisseo al suo scoglio e allo stesso tempo glielo rende difficile (cfr. lbr. X, XI: qualsiasi cosa), e di una morale vigliacca ed esterna che toglie il gusto dell'edonismo all'eroe (cfr. lbr. IV,V,VI: Calipso...).
L'Odissea
è la storia della fuga. Si scappa dalla monotonia del quotidiano, si
fottono streghe, s'accecano ciclopi e si sputa sull'immortalità. Di
ritornare non c'è la sbatta.
Ma
insistiamo a farci insegnare che è un nostos e
che nel libro ci sono quindicimilatrecentoventicinque η.
Un'altra cosa che non mi è mai andata
giù è lo snobismo con cui si trattano i lotofagi. I lotofagi
lontani dall'essere il centro del nucleo narrativo restano comunque
un'attrazione fumosa per i non-lettori dell'Odissea. Chi sono? Che
fanno? Che rilevanza hanno nel libro? Visto che non ci azzardiamo
neanche a sfogliare, ci piace pensare che tutto il libro IX (?) sia
dedicato a come farsi una siringa di loto e a visioni psichedeliche:
un'orgia viola d'esametri coccodrilloformi.
Per quanto riguarda la lingua sappiamo
che il dialetto attico è pressoché assente in tutta l'opera (cfr.
libri I, II, in particolare :ἂν
ἡβήσῃ τε καὶ ἧς ἱμείρεται...),
c'è invece una presenza notevole delle forme eoliche e ioniche che
dominano equamente il resto del libro come in una guerra fredda di
parole.
Ricordiamo per par condicio Penelope,
Telemaco e le tette di Elena (quest'ultime presenti nel lbr. IV).
Non volendoci negare nulla, in conclusione, ci sentiamo
di affermare che il libro è un classico, uno di quei libri che, incontratolo per strada, si sente il bisogno di baciare la terra su cui cammina.
(Per amor di brevità non è stata trattata la
questione omerica, si rimanda ai saggi di Wolf anche se non ci ha capito un cazzo.)
Antonio De Oliveira Salazar
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