domenica 23 febbraio 2014

La mia giornata

Oh, io ci ho provato, ho provato a pensare a un sacco di cose, ma non mi veniva in mente niente. Ho anche iniziato a comprare dei giornali, tutti i giorni uno diverso; li ho sfogliati, dalla prima pagina all'ultima, nella speranza di trovare una notizia, uno spunto, un qualcosa che convincesse il mio cervello ad arrotolarci intorno un articolo. Ma niente. Allora sapete cosa ho fatto? Ho detto: sarà meglio che stavolta mi salvi in calcio d'angolo, con un tuffo all'indietro un po' goffo ma quantomai efficace, perché una figuraccia poi no eh? Perché per quanto alcune persone si ostentino a negarlo, c'è pur sempre un orgoglio da difendere, accidenti; e ho deciso che stavolta no, l'orgoglio non me lo tocca nessuno, uscirà più sano di un pesce. Ci saranno altre situazioni in cui lo sforzo richiesto sarà così grande da farmi guardare in faccia l'orgoglio e dirgli che ahimè dovrà difendersi da solo: "Mi dispiace, caro mio, ma io non ho una gran voglia di prendere in mano la cazzuola e iniziare a impilare dei mattoni per costruire un muro alto, alto, sempre più alto, di quelli che fanno in guerra per proteggersi; io c'ho il mio scudo, piccolo, agile e snello, e se non va bene affari tuoi."
Ma stavolta va bene, eccome se va bene; e allora tiriamoci su le maniche e approfittiamone, perbacco.
Vi parlerò di una cosa facile che più facile non si può: la mia giornata di oggi. Talmente facile che, alle elementari, dopo l'alfabeto e un po' di grammatica, è uno dei primi compiti che assegnano: giusto per imparare a utilizzare correttamente le principali strutture sintattiche, e robe del genere.

Adesso vi chiedo di aspettare qualche secondo, senza far niente. 

Poi di immaginare - come effettivamente è stato - che io non abbia più scritto niente per due, tre orette e che ora sia di nuovo qui, in vostra compagnia. Come effettivamente è stato, dicevo: perché dal nulla, da sotto terra, come un tubero malvoluto, all'improvviso è sorto un problema. Fino allo scorso paragrafo, andava tutto bene: scrivevo tutto d'un fiato, le parole uscivano una dietro l'altra senza troppe complicazioni, il discorso mi sembrava liscio e senza intoppi; ma poi mi sono piantato. E son rimasto piantato anche un bel po', accidenti. Forse lo sono ancora, maledizione. Però sai cosa mi son detto? Mi son detto che piuttosto che stare fermo a rigirarmi le dita avrei potuto rendervi partecipi del problema. E dunque eccomi qui, a scrivere di come il ragionamento, che pareva aver ormai acquisito velocità e consapevolezza tali da non permettere intralci, abbia invece faticato a lungo nella melma. Si dimenava, provava a venir fuori; ma c'era come una mano fangosa che lo tratteneva senza scampo. O meglio, il ragionamento no, neanche tanto, forse lui è venuto fuori abbastanza facilmente; era piuttosto il doveroso confronto con la realtà che non mi riusciva. Perché un conto è ragionare e - si sa - un conto è agire nella concretezza.
Insomma, per tirarla corta, quando due tre orette fa ho finito quel paragrafo, e mi son messo a pensare alla mia giornata di oggi, ho capito che non avrei potuto condividerla con nessuno. Non per timidezza eh, non per quello. Quando ho iniziato a pensare a che ora mi son svegliato, cos'ho mangiato a colazione, cos'ho fatto dopo la colazione, cos'ho mangiato a pranzo eccetera eccetera fino ad arrivare a sera, ho iniziato a sentire il viso scaldarsi, probabilmente diventare tutto rosso, la vista riempirsi di puntini tutti neri, la testa appesantirsi. Porca vacca, che giornata di merda! non pensavo di sprecare in così malo modo il mio tempo! Continuavo a pensare alla mia giornata e dicevo che no, non potevo continuare così, bisognava dare una svolta, altrimenti sarei morto con un sacco di rimpianti. Poi mi sono fermato un attimo. Sono stato immobile per qualche minuto, a pensare e ripensare all'inutilità della mia esistenza e poco a poco mi sono reso conto che no, non era vero! il mio era stato un giudizio troppo frettoloso! la mia era stata una giornata normale, come tante altre. E d'altra parte che cazzo vuoi fare, non è che tutti i giorni debba succedere qualcosa di straordinario! sarebbe una evidente contraddizione! No no, la mia era stata una giornata del tutto onesta, altro che storie! Perché poi, quelli che raccontano sempre un sacco di cose, che 'io ho fatto qui io ho fatto là io sono andato qui io sono andato là', mi piacerebbe controllarli, quelli lì; e scommetto che spesso raccontano un sacco di frottole, e invece che a vedere uno splendido tramonto in capo al mondo li troverei a dormire sul divano.
E poi, se non sbaglio, qualcuno, qualcuno di saggio, con la barba lunga e bianca, probabilmente qualcuno che parlava seduto, con le gambe incrociate e gli occhi chiusi, diceva che il difficile è rendere speciali i gesti quotidiani. Non diceva così? Beh io gli credo. Lungi da me il volerne discutere, eh, che io seduto con le gambe incrociate non so stare: inizierebbero a partire dei tic che no, le gambe ferme non ci stanno, e allora mi alzerei di scatto maledicendo l'idea di imitare quel vecchio barbone. Semplicemente gli credo, tutto qui.
Allora dopo questa presa di coscienza mi sono un po' tranquillizzato; e ho potuto riflettere con maggior lucidità sul motivo che mi spinge a non volervi raccontare della mia giornata, sebbene dopo il parere del saggio di prima essa sia diventata colorata e molto interessante.
E tutto è diventato chiaro. Limpido, facile. Ma signori, è ovvio che non voglio parlarvene! Vi annoierei! Provateci voi, che siete lì a far niente, provateci voi a rendere interessante una colazione a base di caffèlatte e biscotti! Ah, bisogna esser dei bravi scrittori per davvero, non c'è dubbio, perché - siate onesti - non è mica facile costruire un racconto avvincente intorno a una tazza di porcellana, a due chicchi neri che non si muovono e a dei biscotti tutti uguali. Io non ce la faccio di sicuro; e c'ho provato eh? Mi si dica tutto ma non che sono arrendevole. C'ho provato ma ogni riga diventava più stanca della precedente, la descrizione era fiacca, senza vita, senza colori. Ho provato a pensare che i biscotti danzassero in tondo al ritmo divertente di una canzoncina un po' infantile; ho provato a collegare in qualche modo il caffè all'America, e a qualche coltivatore, e a qualche storia interessante sulla sua vita; ho provato addirittura a guardar la marca del latte e a pensare se dal nome si potesse far qualche battuta; e ho provato una miriade di altri tentativi. Ma niente. Tutto inutile. Più andavo avanti più mi rendevo conto di diventare ridicolo. Allora, disperato, non sapendo più cosa fare, ho alzato gli occhi al cielo: per chiedere a Dio di trasformarmi in un grande scrittore, solo per qualche ora. E invece di Dio, sapete chi ho visto? Ho visto me, me stesso, la mia controfigura, a braccia conserte e con lo sguardo severo, che non parlava. Mi fissava. Poi a un certo punto ha mosso le braccia fino a portare le mani davanti al busto, e a congiungerne i palmi; e ha iniziato a muoverle, le mani, di un movimento molto popolare in Italia, che vede le dita ora rivolte al cielo ora rivolte in avanti, e che vuol dire grossomodo così, tanto per capirci: "Ma che cazzo stai facendo? Fa il tuo, che è già abbastanza."
E così ho capito che aveva ragione. Fosse stato un altro, a dirmelo, avrei risposto che no, io non gli credevo: perché io so badare agli affari miei e di certo non mi faccio insegnare da te, caprone che non sei altro. Però ero io, diamine; e come potevo ignorarlo?
E così ho tornato ad abbassare la testa e a guardare in terra, deciso ad abbandonare il goffo tentativo di parlare della mia giornata.
Ed ora sono qui per davvero, nel senso che parlo al presente: ho condiviso con voi il mio percorso pieno di ostacoli, e sono qui, al punto di partenza, senza sapere di che parlarvi. Avevo fatto anche lo sbruffone, all'inizio, dicendo che uno scudo era più che sufficiente e invocando con disinvoltura un salvataggio in calcio d'angolo che però non è ancora arrivato.
Sapete cosa vi dico? Rinuncio. Oh, se non viene niente non viene niente, è inutile. Di tentativi ne ho fatti anche abbastanza; e nella vita quando è ora bisogna sapersi accontentare. Vi lascio dunque con questo articolo un po' impacciato alle spalle - perché non lo voglio più vedere, il maledetto - nella speranza che la prossima volta Dio sia più carino con me, porgendo l'orecchio alle mie disperate richieste di aiuto.
Altrimenti, se questa mancanza di considerazione dovesse perdurare, te lo dico io cosa faccio, porca troia. Mi volto da un'altra parte. Perché ci sono un sacco di divinità che stanno lì, a braccia aperte, tristi, da troppo tempo ignorate: chi con in mano una forca, chi un martello, chi una lancia; chi ha sette mani, chi otto piedi, chi è verde e chi è blu; e sarebbero tutte ben contente, probabilmente verserebbero anche lacrime di gioia se qualcuno bussasse alla loro porta e fosse disposto a concedere un po' di attenzione alle loro parole. Ah ci metto due secondi eh? due secondi e sono già in mezzo a un bosco, vestito d'una veste stracciata, a saltellare qua e là, ora su un piede ora sull'altro, cercando di imitare una di quelle danze che invocano la pioggia o una stagione di buoni raccolti o chissà che altro.
E vedrai che la prossima volta ci pensa due volte a non ascoltarmi.

Ruhollah

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