venerdì 25 aprile 2014

Sympathy for the civil war

In guerra ci sono vivi e morti
in pace solo vivi morti.

La festa della Liberazione è l'apoteosi della mediocrità. Non possiamo cagarci sopra. Paladini del medio, felini addomesticati -castrati- dobbiamo stare zitti. Ma fregandocene del lecito, molliamo stronzi sul venticinque aprile.
La motivazione è semplice: festeggiare il trionfo satanico della pace è sbagliato.
Evviva lo stivale della casalinga! il lavoro! la sborra senza orgasmo! i banchetti senza sangue!
La pace è nulla.
La guerra civile era Arte transustanziata.
Che si fosse partigiani, fascisti, repubblichini, comunisti, è uguale.
Il tumulto ferino, la selvatichezza, la follia del fucile, il ruggito del bombardiere erano tutto.
La guerra civile era Arte fatta carne.
L'artista nel duemila è un'onanista che gode poco. Il quarantacinque era un'orgia col mondo.
Il pensiero se non è accompagnato dall'azione è soltanto perversione.
Sparare al nemico è come scrivere, soltanto che uno è tutto l'altro è niente.
Per fare della propria esistenza, Vita, bisogna fare dell'arte, atto.
La guerra civile era tutto questo.
Ma era anche disertori piagnucolosi, donne commosse, pucciose staffette partigiane, retorica dell'adipe: per questo ha vinto la pace.
Io il 25 aprile vesto a lutto.


Antonio De Oliveira Salazar

domenica 20 aprile 2014

L'unico scopo della Fede

Questo mondo, che vuole ridurre la Fede a un attrezzo da manovale per la felicità, merita solo disgrazie. La Fede deve essere fine unico e ultimo. O meglio: la Fede deve porsi l'unico obiettivo di lodare Dio. Dal momento in cui, per mezzo di un atto di amore e di fiducia, si accetta l'idea per cui siamo tutti figli di Dio, l'unico scopo deve essere quello di renderGli grazie, di renderGli grazie per aver ricevuto in dono la Vita e il Creato, senza pretendere nulla in cambio e, in particolare, senza aspettarsi di stare meglio. 
Al rogo tutti i preti, tutti i vescovi, tutti i cardinali che cercano giorno dopo giorno di svendere la Fede come bagnoschiuma in sconto, promettendo in cambio la felicità, terrena ed eterna. La felicità, in linea di principio, non deve essere legata in nessun modo al proprio amore verso Dio. Se poi Lui vorrà essere così misericordioso da ripagare le nostre preghiere con il benessere, noi lo prenderemo ben volentieri; ma ci deve essere da parte nostra una totale disponibilità alla sofferenza, al dolore e, in definitiva, a qualsiasi Sua volontà, per quanto essa possa essere difficile e traumatica.
C'è chi sostiene che credere rende felici in quanto si ha la salda consapevolezza che, nonostante tutte le tribolazioni della vita, si verrà ripagati nell'eternità. Devo ammettere che le mie orecchie ascoltano con un po' di disgusto queste parole.
È melma, niente più che melma l'atteggiamento di chi crede perché spera in una salvezza eterna. Forse, allora, meglio la predestinazione: quantomeno, questa perversa psicologia non è più ammessa, anche se, a dirla tutta, qualche insidia permane: perché è vero che non si può più amare Dio con lo scopo di ottenere un posto di fianco agli angeli; ma è altrettanto vero che lo si fa - così si dice - per piacerGli, per cadere nelle grazie dell'Altissimo: e allora è sempre fare qualcosa per ottenere qualcos'altro.
Forse, ha ragione per davvero chi dice che, per natura, l'uomo non è capace di gesti pienamente disinteressati. Io, perlomeno, non ne conosco. Ogni azione che nella vita ho compiuto e ho visto compiere e ho provato a immaginare aveva uno scopo, una volontà di essere, in un modo o nell'altro, ripagata. Anche i gesti in apparenza più solidali e più generosi nascondono un crudo desiderio di ritorno.
Detto questo, e ammesso che sia vero, l'amore verso Dio deve essere lo sforzo massimo dell'uomo verso l'ideale di un gesto assolutamente gratuito. E allora, per favore, si smetta di ingannare i fedeli in maniera così perfida, cercando di intrappolarli in una squallida rete da pesca, proponendo la Fede come rimedio all'infelicità, alla non-consapevolezza e ad altri disagi terreni del genere. Che poi essa, la Fede, sia effettivamente un tramite per la felicità, è tutt'altro discorso, che niente ha a che vedere con quanto ho scritto. Magari un'altra volta se ne parlerà; ma così, a occhio e croce, mi sembra che l'argomento sia un tantino delicato, soprattutto messo a confronto con la semplicità intellettuale di queste poche righe.


Ruhollah

lunedì 14 aprile 2014

Storia di R.

Nella stupenda Russia dello zar Nicola II, mica un pivello insomma, spicca una figura molto interessante: in un luogo imprecisato della Siberia, in un giorno altrettanto imprecisato del gennaio 1869 nasce Gigorij Rasputin, da genitori contadini, unico di dieci figli ad aver superato l’anno di vita. La sua infanzia e la sua adolescenza furono all’insegna della campagna, dell’ignoranza, della malattia e della sfiga. A diciotto anni spaccati si sposò e, essendo probabilmente arrapato di continuo, in breve tempo ebbe sette figli, cinque dei quali presero i geni della scalognata famiglia paterna e morirono non più tardi dei tre anni. Pochi anni dopo, stanco di scopare, intraprese lunghi pellegrinaggi, essendo stato attratto fin da piccolo dal misticismo e dalla religione e in questo periodo incontrò movimenti, idee e persone che segnarono e migliorarono la sua vita: aderì a una congregazione clandestina di riti orgiastici, frequentò il Movimento nazionalista dei veri russi, studiò tecniche di guarigione tramite poteri sciamanici e riuscì ad allestire a San Pietroburgo una rete di relazioni con vari nobili e a rendersi famoso in quell’ambiente per le sue capacità di mistico. Così nel 1905 riuscì ad approdare alla corte di Nicola II e fu assunto principalmente per prendersi cura del piccolo zarevic Aleksej, il giovane figlio dello zar, affetto da emofilia: i medici prima provavano a curarlo come avrebbe fatto la loro nonna con loro, con l’aspirina, che però non faceva altro che aggravare le emorragie. Quindi quando Rasputin si prese il compito di cercare di guarire il piccolo, egli, semplicemente pregando (e perciò non somministrando aspirina, che è quello che conta) migliorò visibilmente la sua salute e i genitori si innamorarono di questo strano monaco. In particolare la zarina Alessandra ne era totalmente ammaliata, tant’è che negli anni successivi lo zar cercò di isolare lentamente Rasputin, dato la corte faceva troppo affidamento sulla sua opinione, in qualsiasi ambito, compreso quello politico. Il suo carisma mistico esercitò sulla famiglia Romanov un'influenza così intensa da dare adito a molte congetture: si giunse al punto che le numerose segnalazioni sul suo intenso libertinaggio con le dame dell'aristocrazia venivano regolarmente smentite dalla coppia reale, talvolta anche con la punizione degli zelanti segnalatori.
Molto curiosa la vicenda della sua morte: una notte d’inverno se la stava bellamente polleggiando dopo un’abbondante cena con alcuni ospiti, esponenti della nobiltà russa, a casa del presunto sodomita Jusupov, marito della nipote dello zar, a San Pietroburgo. Situazione apparentemente tranquilla. Offrirono al vecchio Gregorio un ultimo calice di ottimo madera, per gustare al meglio i pasticcini e il guanabana, squisito frutto tropicale. Il bastardo (ovviamente sto parlando di Jusupov) fece però versare insieme al vino anche del cianuro, con l’intento di avvelenare il suo ospite. Questi bevve come un ubriacone, ma senza che il veleno desse alcun segnale: boh, tipo sangue dalle orecchie, bava o schiuma dalla bocca, convulsioni… niente di niente! Il fisico del mistico (forse aiutato in un qualche modo dal guanabana) sembrava aver assimilato il veleno senza alcun effetto per la salute. Quindi il rancoroso nobile decise di passare al piano B, un classico che non ha età, infallibile: dopo una decina di minuti, in cui ha aspettato ancora il cianuro, sperando di non doversi esporre, estrasse il ferro da un cassetto e piantò un colpo nel fianco al povero Rasputin, il quale, a quel punto si accasciò a terra, sofferente. Dopo poco però, grazie alla sua strepitosa forza fisica si riebbe, anche se sconvolto dall’accaduto. Ovviamente Jusupov non era d’accordo e gli sparò un ulteriore colpo, questa volta sulla schiena, dritto al cuore. Questo sembrò l’ultimo passo per il vecchio, che sanguinava e urlava, il poveraccio, mentre il nobile e gli altri complici erano tesi, volevano assicurarsi della sua morte. E facevano bene a preoccuparsene, perché dopo pochissimi minuti Grigorij si rialzò per la seconda volta, però con addirittura ancor più vigore in corpo, tanto che tentò anche una fuga verso il giardino. Nel rincorrerlo gli spararono l’ennesimo colpo, ferendolo ad una gamba, poi lo raggiunsero e percossero con violenza il suo corpo, forte ma quasi completamente stremato dalle ferite ed egli, finalmente, perse conoscenza. Gli stronzi però avevano capito di aver a che fare con uno tosto e pensarono bene di legarlo, arrotolarlo in un tappeto, menarlo per altri dieci minuti buoni e infine gettarlo nel vicino canale Fontanka. Tornarono così contenti al castello. Giustamente contenti perché il giorno successivo il corpo del monaco venne ritrovato a tre chilometri di distanza, sulla riva del fiume, ovviamente, morto. Fu sottoposto all’autopsia e il risultato fu sorprendente: non c’era alcuna traccia di veleno nel suo corpo, in più fu trovata acqua nei suoi polmoni, segno che quando fu buttato nel fiume era ancora vivo e morì quindi affogato. Inoltre, vista la disposizione della salma quando fu ritrovata (segni sugli arti e pantaloni calati), egli tentò più volte di slegarsi e liberarsi, ma, non riuscendoci, il suo ultimo gesto fu il segno della croce. Il cadavere venne quindi sepolto al cimitero, ma dopo pochi giorni venne riesumato e bruciato ai bordi di una strada.


E tutto questo poi, in verità, solo perché erano tutti invidiosi del suo enorme cazzo.

Il Vecchio




domenica 13 aprile 2014

Abbandonare tutto.


La fuga nella vita chi lo sa...
...che non sia proprio lei la quintessenza.
P. Conte

Mattina. Sveglio. Guardi lo specchio. Ti dici: che cazzo stai facendo?
No. Non è vero. In realtà sei il solito stronzo che la mattina si alza, prende su e va a fare le solite stronzate.
Non c'è un motivo particolare. Abitudine. Che altro dovresti fare?
A ventun'anni il futuro dovrebbe aprire le gambe e farsi fottere: tutto da fare. tutto ancora possibile.
Una scopata gustosa.
Invece è già tutto deciso. Figli, lavoro, pensione, televisione, funerale.
È un problema di fantasia. Nihilismo. Non sappiamo cosa fare. Ci troviamo a divorare ottanta anni di vita e non sappiamo con che cazzo condirli. Ingurgitiamo tutto insipido e controvoglia. Una cazzo di pastiglia
Sparati, merda, se non hai fame!
E cosa dovrei fare?
Bombarda Nagasaki con l'atomica.
Vai a piedi a Vladivostok.
Spara a Dio, al Diavolo, e torna giù per bruciare tutto.
Ma chi cazzo ne ha la sbatta e poi, sinceramente, non me ne frega niente.
Dopotutto siamo così stronzi da lamentarci della strada che vogliamo percorrere. Nessun fucile ti costringe a ingravidare una donna. Sei te che lo stai facendo. Perché a vent'anni ti sei iscritto all'università? Non potevi giustiziare turisti giapponesi a Roma?
Siamo mediocri e ci sentiamo grandi dentro in maniera latente.
Se fossimo persone eccellenti non saremmo qui a scrivere, saremmo sul tetto del mondo a cagare in testa alla gente.
Invece piove merda.
L'ultimo appiglio è la fuga.
Del resto siamo dei vigliacchi. La risoluzione del vigliacco è la fuga. Potremmo prendere la vita per le corna e malmenarla. Staccarle con un morso l'orecchio. Ma non siamo buoni. E senza neanche un livido lo prendiamo nel culo.
Fuga.
La fuga è l'unica risoluzione onesta, per chi sa che sarà sconfitto. Combattere fino alla morte per Qualcosa sarebbe più onorevole. Ma se l'alternativa è prenderlo passivamente nel culo perché non si sa cosa fare, allora tanto vale fuggire.
È più onorevole.
La fuga deve essere fuga. Non ha senso andare dall'altra parte del mondo ad aprire un bar: la vita ha sempre il cazzo in tiro e il tuo culo è sempre ricoperto di vasellina.
Se la decisione è la fuga. Bisogna fuggire. Bisogna correre come degli ossessi, nascondersi. Rubare quel che si può.
Nel fuggire abbiamo un'impressione di vita, sentiamo il boato del nemico inseguitore, la stanchezza ci ammazza, il sudore ci fa sentire d'esserci. Magari ci potremmo permettere anche il lusso di qualche azione di guerriglia: potremmo sputare in testa anche noi da una collina a quei camerati che non hanno avuto le palle di fuggire.

Conquista l'Asia e fatti adorare come un Dio o fuggi, sputa, crepa.
Le vie di mezzo le lasciamo ai mediocri.

Antònio de Oliveira Salazar