venerdì 31 gennaio 2014

Lode alla Superstizione

Per il ritorno, anche graduale, ad un mondo pur sempre italico, ma antico, dove il suppellettile sia rigorosamente in pregiato legno oscuro, ed equo, in cui il servo rimanga servo, a causa di sue naturali inclinazioni, e il dovizioso padrone altre inquietudini non abbia, se non il controllare la temperatura di ciò che è in procinto di sorseggiare o mangiare; per un tale, meraviglioso mondo, dicevo, il primo passo è la rivalutazione della superstizione e della scaramanzia, ad oggi disprezzate, rinnegate e ridotte a miserabile cibo per plebei. Private della loro importanza e addirittura, in certi casi, coperte di ignominia. Chi siamo noi minimi esseri umani, confrontati con l’immensità del mondo (scusate l’uso, comunque pertinente, della suddetta espressione, ormai stuprata) per poter lecitamente giudicare se vi sia un dio, uno solo, più divinità, nessuna, il loro carattere, i loro poteri e le loro richieste? L’uomo non può permettersi, se non rischiando la propria permanenza terrena, di fare altro che non sia l’osservare eventi spiacevoli, ricercare con minuzia eventuali atteggiamenti ad essi precedenti, che possono –anche in misura non manifesta- aver causato le considerate disgrazie, ed esimersi, da quel momento in avanti, da tali comportamenti, nella ricerca del minor danno possibile. Analogamente per gli avvenimenti positivi, in cui invece bisogna tendere a ripetere certe azioni, che si suppone abbiano contribuito alla vostra soddisfazione. Così, se in un lontano dì, un buon uomo, o anche più d’uno chissà, dopo aver camminato sotto una scala per un qualsivoglia motivo, ebbe una grave sventura, come può essere la morte della amata consorte, o l’essere stato colpito da un malanno, cosa costa ad un odierno pedone scostarsi qualche metro e passare a fianco alla scala? C’è un precedente oramai: se qualcuno osa farlo, sa che ciò che di male gli può accadere nel futuro potrebbe essere causato anche da codesto atto. Siamo per un momento sinceri con noi stessi: la nostra felicità si misura anche, e soprattutto, nei piccoli gesti quotidiani, nella riuscita di obiettivi banali, nel breve sorriso che ci possono concedere certe strane coincidenze. Chi ci assicura che siano tutte pure coincidenze e che non ci sia un motivo, non riconducibile al caso, che le fa avverare? L’unico concetto (termine che secondo me più si addice) a cui si possono ricondurre questi episodi è la Fortuna, la Sorte: essa governa il mondo molto più che il lavoro, l’impegno, la corruzione e la politica. Dio, o gli dei, o gli enti incorporei che decidono la Sorte (ciò che fa cadere la moneta dal lato della testa anziché dall’altro, per intenderci. E non raccontatemi che in tutto questo la dannata scienza ha potere), potrebbero, a quanto ne sappiamo, nascondersi o meglio alloggiare, vivere, o anche soltanto avere a cuore un qualunque oggetto o organismo o pensiero sulla terra; quindi, perché arrischiarsi nell’offenderlo? Non è un gesto faticoso il toccare un pezzo di ferro in presenza di un carro funebre (non me ne voglia la famiglia del defunto, loro dovrebbero comportarsi allo stesso modo) come sarebbe meglio non augurare ad amici che la fortuna li aiuti: essi, in virtù del legame che avete, ben sapranno che ci tenete alla loro felicità, inutile ribadirlo. Questo è il giusto ragionamento che fa un nobile dabbene.

Lode alla laica superstizione.

Il Vecchio

Nessun commento:

Posta un commento