Per il ritorno, anche graduale, ad un mondo pur sempre
italico, ma antico, dove il suppellettile sia rigorosamente in pregiato legno
oscuro, ed equo, in cui il servo rimanga servo, a causa di sue naturali
inclinazioni, e il dovizioso padrone altre inquietudini non abbia, se non il
controllare la temperatura di ciò che è in procinto di sorseggiare o mangiare;
per un tale, meraviglioso mondo, dicevo, il primo passo è la rivalutazione
della superstizione e della scaramanzia, ad oggi disprezzate, rinnegate e ridotte
a miserabile cibo per plebei. Private della loro importanza e addirittura, in
certi casi, coperte di ignominia. Chi siamo noi minimi esseri umani,
confrontati con l’immensità del mondo (scusate l’uso, comunque pertinente,
della suddetta espressione, ormai stuprata) per poter lecitamente giudicare se
vi sia un dio, uno solo, più divinità, nessuna, il loro carattere, i loro
poteri e le loro richieste? L’uomo non può permettersi, se non rischiando la
propria permanenza terrena, di fare altro che non sia l’osservare eventi
spiacevoli, ricercare con minuzia eventuali atteggiamenti ad essi precedenti,
che possono –anche in misura non manifesta- aver causato le considerate
disgrazie, ed esimersi, da quel momento in avanti, da tali comportamenti, nella
ricerca del minor danno possibile. Analogamente per gli avvenimenti positivi,
in cui invece bisogna tendere a ripetere certe azioni, che si suppone abbiano
contribuito alla vostra soddisfazione. Così, se in un lontano dì, un buon uomo,
o anche più d’uno chissà, dopo aver camminato sotto una scala per un
qualsivoglia motivo, ebbe una grave sventura, come può essere la morte della
amata consorte, o l’essere stato colpito da un malanno, cosa costa ad un
odierno pedone scostarsi qualche metro e passare a fianco alla scala? C’è un
precedente oramai: se qualcuno osa farlo, sa che ciò che di male gli può
accadere nel futuro potrebbe essere causato anche da codesto atto. Siamo per un
momento sinceri con noi stessi: la nostra felicità si misura anche, e
soprattutto, nei piccoli gesti quotidiani, nella riuscita di obiettivi banali,
nel breve sorriso che ci possono concedere certe strane coincidenze. Chi ci
assicura che siano tutte pure coincidenze e che non ci sia un motivo, non
riconducibile al caso, che le fa avverare? L’unico concetto (termine che
secondo me più si addice) a cui si possono ricondurre questi episodi è la
Fortuna, la Sorte: essa governa il mondo molto più che il lavoro, l’impegno, la
corruzione e la politica. Dio, o gli dei, o gli enti incorporei che decidono la
Sorte (ciò che fa cadere la moneta dal lato della testa anziché dall’altro, per
intenderci. E non raccontatemi che in tutto questo la dannata scienza ha potere),
potrebbero, a quanto ne sappiamo, nascondersi o meglio alloggiare, vivere, o
anche soltanto avere a cuore un qualunque oggetto o organismo o pensiero sulla
terra; quindi, perché arrischiarsi nell’offenderlo? Non è un gesto faticoso il
toccare un pezzo di ferro in presenza di un carro funebre (non me ne voglia la
famiglia del defunto, loro dovrebbero comportarsi allo stesso modo) come
sarebbe meglio non augurare ad amici che la fortuna li aiuti: essi, in virtù
del legame che avete, ben sapranno che ci tenete alla loro felicità, inutile
ribadirlo. Questo è il giusto ragionamento che fa un nobile dabbene.
Lode alla laica superstizione.
Il Vecchio