mercoledì 6 ottobre 2021

accettare i varani neri dell'impero moghul

a kabul i talebani si pettinano la barba con pettini di avorio verde presi da strani elefanti che non si trovano più da nessuna parte se non in afganistania. guardano orgogliosi quello che hanno fatto: hanno i kalasnikov aggrappati al collo come bimbi neri aggrappati ai colli delle mamme: guardano commossi quello che hanno fatto. cos'era? duecento anni? mille? un milione di anni che qualcuno non smuoveva il sangue dell'asia centrale: il corpo era in cancrena, il corpo dell'asia centrale sembrava avesse più vermi dentro che no e invece ora c'è gente che si pettina la barba con i kalasnikov al collo che hanno mostrato che il sangue lì ancora circola. il corpo dell'asia centrale è come se avesse partorito un uovo nero e da esso è uscito fuori un gigantesco scarafaggio fatto della stessa materie delle perle nere e magnifico sa che lui è vivo mentre tutto il resto è morto. una donna con il burka si sente finalmente protetta dagli sguardi avidi degli uomini, dagli sguardi avidi della pubblicità; sotto il burka potrà essere quello che vuole, potrà gonfiarsi a dismisura, potrà mangiarsi ali di pollo fritte e scrostarsi le fette panate da sotto le sue tette grasse e nessuno potrà giudicarla, nessuno potrà chiederle di essere bella come la figlia di sedici anni, nessuno le potrà chiedere nulla e lei potrà essere stupida e grassa e magnifica mentre il marito continuerà a pettinarsi la barba e a guardare il tramonto sui campi di oppio rossi come se ci avessero spremuto sopra dei cadaveri. a kabul il sole sorge: sorge il sole di un'umanità diversa, difficile da capire, ma un'umanità sana. un'umanità in cui i corpi, l'odio, la rabbia e i varani neri dell'impero moghul sono accettati come figli e non come nemici. un'umanità in cui i nei sono considerati parte del braccio e non parti da togliere.

                                                                                                          Antonio De Oliveira Salazar

sabato 25 aprile 2020

L’oppio ha obnubilato l’Europa



Quella in cui viviamo non e' l'Europa.
No, perche' la vera Europa (dico quella ormai defunta ormai da piu’ di un secolo) non avrebbe sprecato tempo a piangere sulla privazione di alcune liberta' individuali o a rinfacciarsi chi ha fatto il compitino piu' bello.
Sapeva benissimo che piangere oggi significa fare pompini ai fucili domani.
La vera Europa avrebbe immediatamente colto un solido pretesto per colpire i nemici piu' pericolosi e riprendersi la posizione di dominio mondiale che le spetta.

La Cina sta donando alcuni dollari al WHO: 20 milioni ieri, 30 milioni oggi, magari 50 milioni domani.
Noccioline, per chi controlla la maggior parte degli approvvigionamenti minerari mondiali e produce merci per decine di migliaia di miliardi di dollari ogni anno.
Per farvi capire: e’ come se, del vostro stipendio mensile di 1000 euro, perdeste un cent per strada.
La Cina fa sta facendo queste donazioni per evitare il grande rischio alla propria egemonia posto dalla cazzata che hanno fatto col COVID-19.
E non parlo della corruzione che Trump(f) sta usando come scusa per spostare la parte del bilancio annuale USA destinato al WHO nelle tasche degli americani al fine di garantirsi la rielezione a novembre.
Parlo del tentativo di apparire rispettabili.
Parlo del tentativo di evitare che la rabbia (piu' o meno giustificata: io preferisco pensare che sia sano egoismo animale) delle altre nazioni si trasformi in una leva per toglierle una buona fetta del predominio economico che si e' costruita negli ultimi 50 anni.

Personalmente, non ho nulla contro la politica interna cinese fintanto che non sono costretto a subirla.
Vi piace andare a prendere la gente di notte e (ogni tanto) farla riapparire "pentita di aver commesso un errore di giudizio sull'ottimo sistema del partito"?
Benissimo.
Vi piace censurare il dissenso online?
Benissimo.
Volete essere padroni del mio arbitrio di domani?
L’Europa ha consumato troppo oppio.
Mi mancano le cannoniere nel porto di Canton.

Hirohito

mercoledì 4 settembre 2019

JUVE-NAPOLI E' UN DERBY ESTEMPORANEO

Siamo un paese che ama i nomi della roba vecchia.
Non la roba vecchia, ma i nomi della roba vecchia.
Abbiamo nomi per un sacco di cose vecchie.
Una volta, potevamo comprare tutta la roba vecchia, accumularla addirittura.

Poi, sono arrivati quelli-che-non-hanno-niente-da-perdere.
Loro sanno solo che la roba si ha o non si ha. Si comanda o si obbedisce.
Non hanno nomi per le cose vecchie.
Il loro capo ha la pelle come il cuoio e i capelli brizzolati.
Veste una camicia azzurra.
Fuma al tramonto. Fuma nella notte. Fuma all'alba. Fuma durante il giorno.
Ti guarda calcolando quanta paura hai.
Gli occhi dell'animale che sa che la tua vita e' in suo potere. Una sua parola e sei morto.
Non gli importa quanti nomi conosci delle cose vecchie. Gli importa quanti soldi e obbedienza gli porti.
Lui rispetta solo il becchino, perche' il becchino e' l'unico che puo' fare scorte di nomi di roba vecchia.
Il becchino ha un motivo per fare scorte: lo fa perche' e' il suo lavoro.
Il becchino non e' tenuto a conoscere il significato dei nomi della roba vecchia.
Il becchino lavora con i nomi della roba vecchia. Il suo lavoro e' seppellire i nomi della roba vecchia.

Tu, perche' fai scorte di nomi? Perche' non fai scorte di roba?
La roba e' di chi la sa fare, e tu sei cresciuto amando solo i nomi della roba vecchia.
Ami dare nomi alla roba vecchia, ma non sai fare la roba.
I nomi sono gratis, la roba no.

Pasdaran e jihadisti sono pronti ad abbattere i tuoi elicotteri e a far esplodere le tue macchine blindate.
Ora sai cos'e' la paura. Prima passeggiavi per l'africa nera e incutevi paura nei neri con la tua roba.
Ma ora, ti sono rimasti solo dei nomi che indicano della roba vecchia.
I pasdaran e i jihadisti sanno che puoi morire perche' sanno che i nomi della roba vecchia non ti proteggono come la roba vecchia.
Gliel'hanno detto quelli-che-non-hanno-niente-da-perdere. Hanno rotto il nostro gioco.
Dobbiamo correre nella notte, abbandonare la roba vecchia e tutti i suoi nomi. Dobbiamo correre nel buio sapendo che potremo morire una morte violenta.
Dobbiamo uccidere il capo di quelli-che-non-hanno-niente-da-perdere.
Il capo di quelli-che-non-hanno-niente-da-perdere sa che potresti trovarlo e ucciderlo, ma lui non ha paura.
Perche' sa che, se dovessi ucciderlo, tu diventerai il capo di quelli-che-non-hanno-niente-da-perdere.
Quelli-che-non-hanno-niente-da-perdere avranno sempre un capo.
Il capo di quelli-che-non-hanno-niente-da-perdere conosce i nomi della roba vecchia, ma anche il loro significato (la roba vecchia, dico).
Ma sa che questo significato lo puoi conoscere solo se prima hai ammazzato qualcuno per ottenere la roba.
L'unico modo di fare la roba, e' ammazzare.
Il sangue dei morti sulle tue mani e davanti ai tuoi occhi da' significato alla roba.
Nella vita ci sono delle priorita'.



Egemonia = Comando
Thomas Miao: "sono insoddisfatto".
Traduzione: "non vi azzardate nemmeno a pensare di fermare questi contratti, o vi faremo una guerra talmente rapida e violenta che manco capirete cosa vi ha colpiti".

Dovete conoscere:
 - alcuni elementi del gioco del go (cinese)
 - aver letto un passo di Polibio sull'oclocrazia (romano)
 - la logica del "divide et impera" (romano)
 - il libro dei 36 stratagemmi (cinese)
 - l'arte della guerra (cinese)
 - teoria dei "tre tempi storici": modifica delle relazioni di potere inaugurata/simboleggiata/culminata in un evento storico

Hirohito

sabato 18 agosto 2018

Con il ponte di Genova cade anche un motto dei pubblicitari



Negli ultimi giorni l'esposizione mediatica della famiglia Benetton è oltremodo cresciuta. Per verificarlo basta notare l'impennata delle ricerche su Google della parola "Benetton" rispetto all'ultimo mese. Questa impennata ha coinciso con la caduta libera in borsa di Atlantia, titolo della società finanziaria della famiglia trevigiana. Nei due giorni successivi al crollo del Ponte Morandi a Genova il titolo ha bruciato più di 6 miliardi di euro. Per avere un'idea, si pensi che il ponte più costoso al mondo, il messicano Freeway Durango, è costato meno di 1,5 miliardi di euro. «Any publicity is good publicity» dicono i pubblicitari anglofoni. «Fino a un certo punto» verrebbe da aggiungere.

L'animo del Giaguaro

domenica 18 giugno 2017

Sul ringraziamento

Oggi che è domenica vi faccio un regalo e vi spiego cosa sta dietro al fatto che, quando qualcuno compra qualcosa in un negozio o in un bar, sia il cliente che il venditore dicono "grazie". Infatti questa cosa non ha senso, perché due persone non possono essere reciprocamente grate per lo stesso motivo. Bene, la storia è che il cliente ringrazia il negoziante perché egli gli ha fornito un servizio che, contando solo sulle sue forze, il cliente non avrebbe potuto ottenere. E ok. Il negoziante poi ringrazia a sua volta il cliente per un altro motivo: infatti generalmente, per lo stesso servizio, un cliente può rivolgersi a tanti negozianti diversi, per cui il ringraziamento è una cosa tipo "grazie per aver preso il caffè da noi, così i soldi abbiamo presi noi invece che quegli stronzi del Caffè del Collegio, che tra l'altro hanno anche un negro nel personale". Il problema, e ciò che spiazza la gente comune, è che i due ringraziamenti avvengono spesso a poca distanza l'uno dall'altro, a volte quasi simultaneamente. La qual cosa fa sembrare che, dopo che il cameriere appoggia il caffè sul bancone, sia il cameriere che il cliente ringrazino entrambi per il caffè. Ma ormai avete capito che non è così. Ricapitolando semplicemente: i ringraziamenti quasi contemporanei di cliente e negoziante sono in realtà rivolti a situazioni e campi di possibilità diversi. Niente volevo solo dirlo.

-Il Vecchio


sabato 15 aprile 2017

Il superuomo è un automa: un decalogo sull’intelligenza creativa.


Le righe che seguono sono percorse da considerazioni talvolta buone e in parte originali, non foss’altro che quanto in esse mi sembra buono e ben riuscito non sia per nulla originale, mentre la qualità di quel che in esse si può trovare di originale possa senz’altro essere revocata in ragionevolissimi dubbi.  Per arrangiare una variazione su de La Rochefoucauld, l’omissione di una citazione è l’omaggio che la mediocrità rende all’originalità. Siccome non sono per nulla creativo, ho copiato l’idea del decalogo dalla celebre pagina “come il mondo vero finì per diventare favola” del Crepuscolo degli Idoli Nietzsche e anche da manifesti tra i più vari.

1.        Non pensate a un ragno con il monocolo e i baffi. Indubbiamente lo avrete immaginato. Chiedere di esercitare la creatività non è diverso, e prescrivere consigli in questo senso non sembra somministrare un fastidio diverso da quello incuneato nel fianco dall’ordine di disobbedire o dall’odiatissima ingiunzione ad essere naturali (o al diventa ciò che sei del Nietzsche domatore di cavalli). E proprio come quando ti sollecitano ad essere naturale fremono le palpitazioni, pruriginano le orticarie e tiratissimi sorrisi si allungano sul tuo viso (ti verrebbe da dire che no, che tu sei artificiale!), così all’ingiunzione della creatività vien voglia di opporre una proterva resistenza passiva: io no, non creo, neanche sotto tortura!
2.       Andate a scuole repressive. Talvolta capita di sentire qualche professore che se la prende con la scuola, sostenendo che essa finisca col frustrare la creatività degli studenti e magari proponendo fantasie al potere e coloratissime scuole di creatività.  Tra l’altro una storia già sentita tante volte (cioè ben poco creativa), e che evita l’incomodo di esaminare l’inspiegabile rigoglio dei tanti creatori in epoche passate, allorquando le scuole erano ferocemente severe e terribilmente repressive. In ogni caso, la repressione aguzza l’ingegno, mentre l’esortazione alla creatività paralizza e inclina a scivolare agiatamente nell’infingardaggine.  
3.       Non esagerate con le idee. Hegel ha detto una volta una cosa spietatamente vera: le idee sono a buon mercato come le mele. In proposito, si racconta di Einstein che a un tale, che si vantava delle innumerevoli e mirabili idee brevettate, avesse risposto “sa, io di idee ne ho avuta una o forse due”.  Le idee devono essere coltivate con il garbo delle mondine in risaia, non è possibile piantarne una troppo vicina all’altra.
4.       Copiate, non create. Il segreto della creatività è un segreto di Pulcinella. Per essere creativi bisogna fare esattamente il contrario di quel che consigliano quei professori della scuola creativa: bisogna copiare, copiare e ancora copiare. Quando tutto quello che sarà stato copiato uscirà dagli occhi e dalle orecchie, quando ogni verso, ogni nota, ogni disegno sembrerà una citazione, ecco che forse potrebbe emergere qualcosa di simile a una creazione, o (almeno) di meno simile a una ripetizione. Omero è un’emergenza della tradizione formulare, cioè degli aedi-pappagalli, ed è La Poesia nella sua epifania aurorale più dorata e primigenia, una vibrazione di minute variazioni atmosferiche che gonfiano lo stile luminoso e creativo delle origini, ma pur sempre il limaccioso sedimento di un antichissimo processo di ripetizione di frasi fatte, copiatura e variazioni sul tema per nulla originali. Il punto è semplice: è un inguaribile sbaglio associare il genio alla sregolatezza; il genio non ha meno regole degli altri, ne ha molte di più.  Pensare è il lavoro della mano, scriveva Heidegger, e dal par suo Anassagora considerava la manualità all’origine della superiorità umana sulle fiere, cosicché non è per nulla originale sostenere che la stoltezza meccanica della memoria digitale preceda l’intelligenza, o ancor meglio che l’intelligenza sia poco più di un nome e un camuffamento, forse un separé, uso a sottrarre agli sguardi indiscreti degli spettatori la sgraziata minuzia degli scarabocchi e l’automatica  stupidità dei crogiuoli da orologiai mirabilmente escogitati per raggirare gli sprovveduti.  L’intelligenza sale dalla mano al cervello con l’arte dell’imitazione e della copiatura proprie degli amanuensi.
5.       Leggete “angolo bar a Bologna”. Rileggete da destra a sinistra: troverete solo una ripetizione, ma indubbiamente più sorprendente dell’originale.La ripetizione altera e contamina sempre l’originale, secondo quel meccanismo insistentemente sottoposto all’attenzione da Derrida con il sostantivo differance (scritto volutamente differance, invece che difference, tanto che sua madre ebbe a lamentarsi con il suo Jackie per quest’apparente svista endemicamente sparsa nei suoi libri). La memoria delle mutazioni genetiche conserva e riproduce gli errori casuali, e nell’iterazione produce nuovamente alterazione, infine, senza che la più flebile traccia di un divino artefice intervenga come la pentecoste nel processo evolutivo, in tempi abbastanza lunghi, dalla stupidità può emergere una forma di intelligenza, come dalla stupidità di una singola termite può emergere la mirabile architettura di un termitaio, così curiosamente simile alle verticalizzazioni della Sagrada Familia, e non è escluso che Gaudì possa essere in fondo considerato un termitaio di neuroni.
6.       Inventariate, non inventate. La risorsa più preziosa per copiare sono gli inventari e i cataloghi, lo sapevano già i latini. Cosa avrebbe potuto scrivere mai Plauto senza “contaminatio”, ovvero senza copia e incolla? “Inventio”, in latino, vuol dire due cose: la trovata-scintilla che sembra scoccare dal nulla, quella dell’inventore fulminato come una lampadina insomma, e il copia-incolla annotato nel proprio repertorio personale, cioè la frase fatta o il luogo comune utile a fabbricare discorsi retorici e svicolare. Ora, non c’è niente che aiuti a inventare tanto quanto l’inventariare, per esempio con il fasto alessandrino offerto da Internet; e se alla fine non si riesce a inventare gran ché, almeno non difficilmente si inciamperà nella scoperta che molte pretese invenzioni sono in verità vecchie come il cucco. 
7.       Classificate, non costruite. Questo principio discende direttamente dal precedente, la sottovalutatissima operosità dell’entomologo e del botanico, del Darwin osservatore instancabile, classificatore, ordinatore, metodico raccoglitore di minuzie e ripetute conferme, non sono queste le qualità del genio? Con il giusto tempo di coltura, imparare a memoria fa il genio.
8.       Esemplificate, non semplificate. Leibniz sosteneva che quanto più attentamente un uomo avesse esaminato figure di piante e animali, di fortezze o di case, letti romanzi e racconti ingegnosi, tanto più   maggiore sarebbe stata la sua conoscenza, anche se in tutto quello che gli è stato dipinto o raccontato, non ci fosse una sola cosa vera. Gli esempi sono una fiorente e lussureggiante risorsa, e sono il bello della cultura, che dunque non paralizza la creatività, ma la rende possibile.
9.       Cercate oggetti e non soggetti. Ci sono più cose tra la terra e il cielo che in tutte le nostre filosofie. Gli oggetti che popolano la nostra vita sono un universo di esempi concreti, e in più non allestiscono (in genere) le mistificazioni e automistificazioni dei soggetti. A guardarli bene, c’è da trarne una quantità di idee e soluzioni, o, mal che vada, si possono riempire pagine e pagine come fanno Zola e Proust quando non sanno come proseguire i loro romanzi, per la gioia di lettori volenterosi e sprovveduti.
10.   Mandate al creatore i creativi. Non in senso maligno, ma così, alla buona, che se li goda Lui, noi ci teniamo i banali e i ripetitivi, perché il luogo comune, l’ovvio e l’ottuso, non solo hanno dalla loro la mancanza di pretese, l’essere alla buona che induce all’indulgenza, financo alla complicità, ma rivela l’essenza metafisica del mondo: Tat Tvam Asi, tu sei questo. 



Immagina...



8 novembre 2089. Mentre le nubi tossiche si diradavano leggermente, il giovane e la sorella uscirono dalla loro tana, cercando qualche lucertola, qualche verme, qualsiasi cosa per sfamarsi. La guerra aveva reso difficile trovare da mangiare. Mentre scavavano, il ragazzo iniziò a sentire una voce lontana, che si avvicinava a ritmo sostenuto. Si alzò e guardò verso destra, e vide l'esercito che si stava avvicinando a passo di marcia, mentre i soldati intonavano una canzone. Il giovane tese l'orecchio per ascoltare le parole:

Imagine all...you may say....as one...

Non capiva bene il significato, non aveva mai studiato la lingua dei liberatori. Si avvicinò al troncone più laterale, che marciava di fianco ad un enorme carro armato, alto come un palazzo e largo come una collina. Vide tra i soldati uno con la faccia pallida e i capelli biondi, sembrava proprio uno della sua stessa terra. Si avvicinò e iniziò a parlargli, nella sua lingua:
"Ciao. Sei anche tu di qui?"
"Ciao ragazzo. Sì anche io sono di queste terre. Mi sono arruolato coi liberatori, stiamo andando a liberare altri popoli."
"Che canzone cantate?"
"È la nostra marcia. È l'inno dei liberatori."
"E che cosa dice?" "Parla della liberazione."
"Liberazione da cosa?"
"Dal diverso."
"Non capisco."
"Perché sei ancora giovane. Vedi, noi umani abbiamo sempre fatto la guerra, perché siamo diversi. Abbiamo sempre odiato le cose diverse da noi, chi parlava diversamente, chi pensava diversamente, chi pregava diversamente. Finché così un uomo della terra dei liberatori non disse basta; disse che il mondo non doveva essere diverso, che se fossimo stati tutti uguali avremmo avuto la pace, e così da allora i liberatori girano per tutto il mondo per eliminare le diversità. Se diventiamo tutti uguali finalmente ci sarà la pace dappertutto, non importa quanta gente dovrà morire, sarà per una giusta causa. E così adesso che anche noi siamo uguali stiamo andando a fare sì che altri siano uguali. Nessun confine e nessuna razza, nessuna proprietà, la fratellanza dell'umanità finalmente!"
"Hai qualcosa da mangiare? Da quando il sole non c'è più io e mia sorella non troviamo più da mangiare."
Un urlo. Dalla testa arrivò un ufficiale, estrasse la pistola e la puntò contro il ragazzino. Iniziò a fare domande al soldato che gli stava parlando, questi cercava di scusarsi. L'ufficiale guardò il ragazzo negli occhi, poi sparò. Era proibito parlare in lingue diverse da quella dei liberatori. La sorellina da lontano vide tutto e scappò. L'ufficiale rimproverò il soldato con uno schiaffo, questi tornò in fila scusandosi. Tutta la colonna continuava imperterrita nella sua marcia, cantando a squarciagola, mentre il tamburo teneva il tempo.

Imagine there’s no countries It isn’t hard to do Nothing to kill or die for And no religion too Imagine all the people Living life in peace…

Il Tidide Diomede