Le righe che seguono sono percorse da considerazioni talvolta buone e in parte originali, non foss’altro che quanto in esse mi sembra buono e ben riuscito non sia per nulla originale, mentre la qualità di quel che in esse si può trovare di originale possa senz’altro essere revocata in ragionevolissimi dubbi. Per arrangiare una variazione su de La Rochefoucauld, l’omissione di una citazione è l’omaggio che la mediocrità rende all’originalità. Siccome non sono per nulla creativo, ho copiato l’idea del decalogo dalla celebre pagina “come il mondo vero finì per diventare favola” del Crepuscolo degli Idoli Nietzsche e anche da manifesti tra i più vari.
1. Non pensate a un ragno con il monocolo e i baffi. Indubbiamente lo avrete immaginato. Chiedere di esercitare la creatività non è diverso, e prescrivere consigli in questo senso non sembra somministrare un fastidio diverso da quello incuneato nel fianco dall’ordine di disobbedire o dall’odiatissima ingiunzione ad essere naturali (o al diventa ciò che sei del Nietzsche domatore di cavalli). E proprio come quando ti sollecitano ad essere naturale fremono le palpitazioni, pruriginano le orticarie e tiratissimi sorrisi si allungano sul tuo viso (ti verrebbe da dire che no, che tu sei artificiale!), così all’ingiunzione della creatività vien voglia di opporre una proterva resistenza passiva: io no, non creo, neanche sotto tortura!
2. Andate a scuole repressive. Talvolta capita di sentire qualche professore che se la prende con la scuola, sostenendo che essa finisca col frustrare la creatività degli studenti e magari proponendo fantasie al potere e coloratissime scuole di creatività. Tra l’altro una storia già sentita tante volte (cioè ben poco creativa), e che evita l’incomodo di esaminare l’inspiegabile rigoglio dei tanti creatori in epoche passate, allorquando le scuole erano ferocemente severe e terribilmente repressive. In ogni caso, la repressione aguzza l’ingegno, mentre l’esortazione alla creatività paralizza e inclina a scivolare agiatamente nell’infingardaggine.
3. Non esagerate con le idee. Hegel ha detto una volta una cosa spietatamente vera: le idee sono a buon mercato come le mele. In proposito, si racconta di Einstein che a un tale, che si vantava delle innumerevoli e mirabili idee brevettate, avesse risposto “sa, io di idee ne ho avuta una o forse due”. Le idee devono essere coltivate con il garbo delle mondine in risaia, non è possibile piantarne una troppo vicina all’altra.
4. Copiate, non create. Il segreto della creatività è un segreto di Pulcinella. Per essere creativi bisogna fare esattamente il contrario di quel che consigliano quei professori della scuola creativa: bisogna copiare, copiare e ancora copiare. Quando tutto quello che sarà stato copiato uscirà dagli occhi e dalle orecchie, quando ogni verso, ogni nota, ogni disegno sembrerà una citazione, ecco che forse potrebbe emergere qualcosa di simile a una creazione, o (almeno) di meno simile a una ripetizione. Omero è un’emergenza della tradizione formulare, cioè degli aedi-pappagalli, ed è La Poesia nella sua epifania aurorale più dorata e primigenia, una vibrazione di minute variazioni atmosferiche che gonfiano lo stile luminoso e creativo delle origini, ma pur sempre il limaccioso sedimento di un antichissimo processo di ripetizione di frasi fatte, copiatura e variazioni sul tema per nulla originali. Il punto è semplice: è un inguaribile sbaglio associare il genio alla sregolatezza; il genio non ha meno regole degli altri, ne ha molte di più. Pensare è il lavoro della mano, scriveva Heidegger, e dal par suo Anassagora considerava la manualità all’origine della superiorità umana sulle fiere, cosicché non è per nulla originale sostenere che la stoltezza meccanica della memoria digitale preceda l’intelligenza, o ancor meglio che l’intelligenza sia poco più di un nome e un camuffamento, forse un separé, uso a sottrarre agli sguardi indiscreti degli spettatori la sgraziata minuzia degli scarabocchi e l’automatica stupidità dei crogiuoli da orologiai mirabilmente escogitati per raggirare gli sprovveduti. L’intelligenza sale dalla mano al cervello con l’arte dell’imitazione e della copiatura proprie degli amanuensi.
5. Leggete “angolo bar a Bologna”. Rileggete da destra a sinistra: troverete solo una ripetizione, ma indubbiamente più sorprendente dell’originale.La ripetizione altera e contamina sempre l’originale, secondo quel meccanismo insistentemente sottoposto all’attenzione da Derrida con il sostantivo differance (scritto volutamente differance, invece che difference, tanto che sua madre ebbe a lamentarsi con il suo Jackie per quest’apparente svista endemicamente sparsa nei suoi libri). La memoria delle mutazioni genetiche conserva e riproduce gli errori casuali, e nell’iterazione produce nuovamente alterazione, infine, senza che la più flebile traccia di un divino artefice intervenga come la pentecoste nel processo evolutivo, in tempi abbastanza lunghi, dalla stupidità può emergere una forma di intelligenza, come dalla stupidità di una singola termite può emergere la mirabile architettura di un termitaio, così curiosamente simile alle verticalizzazioni della Sagrada Familia, e non è escluso che Gaudì possa essere in fondo considerato un termitaio di neuroni.
6. Inventariate, non inventate. La risorsa più preziosa per copiare sono gli inventari e i cataloghi, lo sapevano già i latini. Cosa avrebbe potuto scrivere mai Plauto senza “contaminatio”, ovvero senza copia e incolla? “Inventio”, in latino, vuol dire due cose: la trovata-scintilla che sembra scoccare dal nulla, quella dell’inventore fulminato come una lampadina insomma, e il copia-incolla annotato nel proprio repertorio personale, cioè la frase fatta o il luogo comune utile a fabbricare discorsi retorici e svicolare. Ora, non c’è niente che aiuti a inventare tanto quanto l’inventariare, per esempio con il fasto alessandrino offerto da Internet; e se alla fine non si riesce a inventare gran ché, almeno non difficilmente si inciamperà nella scoperta che molte pretese invenzioni sono in verità vecchie come il cucco.
7. Classificate, non costruite. Questo principio discende direttamente dal precedente, la sottovalutatissima operosità dell’entomologo e del botanico, del Darwin osservatore instancabile, classificatore, ordinatore, metodico raccoglitore di minuzie e ripetute conferme, non sono queste le qualità del genio? Con il giusto tempo di coltura, imparare a memoria fa il genio.
8. Esemplificate, non semplificate. Leibniz sosteneva che quanto più attentamente un uomo avesse esaminato figure di piante e animali, di fortezze o di case, letti romanzi e racconti ingegnosi, tanto più maggiore sarebbe stata la sua conoscenza, anche se in tutto quello che gli è stato dipinto o raccontato, non ci fosse una sola cosa vera. Gli esempi sono una fiorente e lussureggiante risorsa, e sono il bello della cultura, che dunque non paralizza la creatività, ma la rende possibile.
9. Cercate oggetti e non soggetti. Ci sono più cose tra la terra e il cielo che in tutte le nostre filosofie. Gli oggetti che popolano la nostra vita sono un universo di esempi concreti, e in più non allestiscono (in genere) le mistificazioni e automistificazioni dei soggetti. A guardarli bene, c’è da trarne una quantità di idee e soluzioni, o, mal che vada, si possono riempire pagine e pagine come fanno Zola e Proust quando non sanno come proseguire i loro romanzi, per la gioia di lettori volenterosi e sprovveduti.
10. Mandate al creatore i creativi. Non in senso maligno, ma così, alla buona, che se li goda Lui, noi ci teniamo i banali e i ripetitivi, perché il luogo comune, l’ovvio e l’ottuso, non solo hanno dalla loro la mancanza di pretese, l’essere alla buona che induce all’indulgenza, financo alla complicità, ma rivela l’essenza metafisica del mondo: Tat Tvam Asi, tu sei questo.
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