Ci trovavamo come al solito nel nostro appartamento in via *** con l'eccellente Maestro. Le finestre,come'è naturale, stavano sempre chiuse durante il giorno con le serrande abbassate per non spaventare inutilmente il Buio delle nostre stanze con la luce del giorno. Vivevamo al lume di candela in un'atmosfera gotica. Sempre in pigiama a guardare film al computer. A un certo punto ci giunse voce di una festa in un luogo sotterraneo e, quindi, diabolico. Né io né il Maestro avevamo intenzione di andarci. Non ce ne era motivo. Non ci sarebbe mai stato un buon motivo di uscire... Inspiegabilmente però quella sera il Maestro iniziò a insistere sulla possibilità di uscire. La sua voce per la prima volta mi apparve come una possessione del corpo. Questo ente astratto che esce da questo animale di carne. La Voce. Il Maestro aveva una sostanza diabolica e metafisica nei polmoni. Lo presentivo in tutto il mio pigiama. L'elettricità animale si agitava per tutta la casa. Sentivo che qualcosa non andava a pelle, come una falena sente i sapori tramite i peli sulle ali, ma la mia ragione soffocò tutto...
Il Maestro iniziò a insistere. Bisognava andare alla festa, ne avvertiva la necessità. Iniziò ad agitarsi come il fuoco di una candela durante una folata di vento. Si muoveva per la stanza facendo agitare teatralmente la sua vestaglia. Io presentivo la sventura. Perché uscire? Non bisogna uscire. Non bisogna uscire neanche se si ha fame. Non bisogna uscire neanche se si è morti per farsi seppellire. La casa è un utero e venire al mondo è il peccato originale. Usciamo! Usciamo! Usciamo! Erano le uniche parole che riusciva a dire quella Voce incastrata dentro al corpo del Maestro. Se ascoltavi solo il suono quell' 'Usciamo' sembrava l'urlo di una persona che chiedeva aiuto: il corpo implorava che io fermassi la Voce che lo possedeva, ma la voce articolava il fiato in modo da confondermi. Il Maestro iniziò ad afferrarmi e a tirarmi i vestiti addosso. Usciamo! Usciamo! Usciamo! In un momento di distrazione di lui afferrai il portatile e mi nascosi sotto alle coperte. Ero una crisalide magnifica. Un utero dentro a un utero: gli altri uscivano, io riuscivo ad ottenere livelli superiori di dentro... Il Maestro entrò nella mia stanza come Polifemo cieco di buio a caccia di itacesi. Lui cercava me tastando le pecore nel buio, io gioivo della certezza del mio nascondiglio come una falena gioisce della notte... Si avvicinò terribilmente a me. Sentivo il famigliare fruscio della sua vestaglia ottomana, ma la sua Voce non era lui. Dai usciamo. Dai usciamo. Dai usciamo. Era l'urlo di dolore di un corpo che aveva perso contro un demone possessore.
[...]
Alle tre fissavo lo schermo sotto alle coperte. Non sarei mai uscito nella stanza. A un certo punto sbatté la porta. Il Maestro era tornato. Rideva. Con lui c'era un altro. Parlavano di fare la pasta. Vile trucco per stanare persone. Mi avevano già fatto uscire più volte con la scusa del cibo, ma ormai avevo imparato a gestire anche questa componente di me. Alcuni dedicavano il loro ascetismo a Dio. Io l'avevo dedicato allo stare chiuso in casa... Fuori dalle coperte versi non umani di un abbuffata si sentivano. Inoltre una inspiegabile forza attraente portava oggetti di piccola fattura verso la cucina come si il Maestro avesse portato un debole magnete che attraeva le masse. Iniziai ad ascoltare contro il mio volere il discorso che la Voce stava tenendo con l'ospite. Il suono aleggiava come un fantasma nell'aria e entrava nel mio orecchio come un parassita tropicale. Sembrava che la Voce tramite il colloquio stesse costruendo l'essere, come un negromante con la sua voce costruisce gli spettri con cui infesta il deserto...
-Quindi Psiche cosa studi?
-Scienze della formazione.
-Qui a ***?
-No fuori a ***, ma perché avete le luci spente?
-Ci piace risparmiare, AHAHAH!
La risata mostruosa con cui Lucifero aveva deciso di essere superiore a Dio. A quelle vocali tutti i cani del condominio si misero ad abbaiare come di fronte a qualche naturale segno nefasto.
-Senti ti faccio una domanda personale... ma quanto pesi Psiche?
-170 kg.
-Non ti sei offesa?
-Solo un po'.
Quell'essere detto Psiche si mise a piangere. Lo si sentiva singhiozzare nonostante, nel punto in cui ero, il buio fosse così denso da non permettere il movimento a nessuna onda sonora. Il suo pianto usciva fuori male dagli occhi come una lumaca fortissima non si riesce a strappare dal suo guscio. Continuo si sentiva il rumore di spaghetti risucchiati come se stessero mangiando dieci kg di spaghetti. Tremavo, ma dov'ero ero sicuro.
[...]
Improvvisamente silenzio. Poi passi che tremavano la casa iniziarono ad avvicinarsi alla mia stanza. Poi sentì la mia nemica agitarsi davanti alla porta. La Voce.
-È un po' timido, ma te non temere.
La porta si aprì. Due passi terribili. Si chiuse. Sentì il rumore di tutte le cose sulla mia scrivania che venivano attratte da quella forza animale che veniva da fuori. Di nuovo dei passi mostruosi raggiunsero il mio letto. Dieci vermi grassi e larghi si infilarono sotto le lenzuola. Solo in certi trattati occulti di storia naturale del Brasile avevo sentito parlare di cose del genere. Non capivo ancora cosa stava succedendo, ma temevo un destino peggiore della morte e così fu... i dieci vermi si trasformarono in dita e strapparono il lenzuolo dal letto scoprendo il mio nascondiglio. La mia anima in quell'istante si ruppe e avrei voluto morire il mio corpo, ma successe solo allo spirito... Di fronte a me si ergeva un essere gigantesco e mostruoso e magnifico. I suoi seni erano così giganteschi da riempire tutto lo spazio visibile. Capì dalle letture che avevo fatto in antichi testi greci che mi trovavo di fronte a quella creatura mitologica che Erodoto aveva chiamato Gorda. Io disperavo e già temevo che niente sarebbe stato peggiore di quello che mi era appena accaduto, quando quella mi strappò di dosso il pigiama. Ah! Mille volte avrei preferito mi staccassero la pelle con un coltello! L'incubo... Con le sue fauci mostruose si avvicinò per divorare quella parte di me che è giusto tacere. Urlai terrorizzato. Dissi che non era uno spaghetto! Ma quella si avvicinò. Iniziò a fare qualcosa di strano e piacevole. Era come il tempo che agisce sugli alberi che prima sono morbidi steli d'erba verde e con gli anni diventano di legno gioioso. L'essere accelerava il tempo mentre eseguiva qual rituale diabolico e strano che consisteva nell'arrivare quasi a inghiottire e poi nel risputare come fanno i cannibali nella Polinesia orientale per dare l'estremo saluto ai lori cari... smise lasciandomi un tronco di legno duro tra le gambe: in quel momento di requie cercai di scappare per una fessura. Farmi liquido come vino rovesciato e svanire tra le assi del tavolo. Nascondersi come un ragno nel buco del muro. Il mostro mugolò e io scomparvi in un buio che mai avevo visto così buio. -Esci!- si mise a urlare la Gorda. -Il tuo compito è uscire e entrare e uscire e entrare e non solo entrare-... Ma io ero troppo furbo e non sarei mai uscito da quel fortuito nascondiglio. Urlai:
-Oh Gorda! Io non so dove sono, ma tu non mi avrai!
-Sei dentro di me imbecille!
Come Giona nella pancia della balena ero un uomo dentro a una Gorda. Urlai, ma scoprì ben presto che nessuno ti sente urlare dentro una Gorda. Mi agitai come un moscerino dentro a un bicchiere capovolto. Poi stanchissimo iniziai a chiudere gli occhi...
La mattina dopo mi svegliai nel mio letto con il mio pigiama e non c'era più nessuno e c'era solo il Maestro e tutto era come prima. Ma ancora tremo se penso ancora a quella Voce di cui è tutta la colpa...
Antonio De Oliveira Salazar
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