"Guai a quelli che tirano l'iniquità con le corde del vizio,
e il peccato come con le corde di un cocchio.” Isaia
5:18
“Egli si
sazia col pane dell'empietà
e si disseta col vino della violenza.”
Proverbi 4:17
Anno 244 a.C., Tolomeo III Evergete, retto, deciso e onesto
faraone, governava con grande carattere e forza morale sull’Egitto ellenico,
la cui città principale era Alessandria, massimo centro di cultura del tempo. Durante
il suo regno l'Egitto conobbe un momento di grande splendore, tanto che al re
fu conferito il titolo di benefattore (in greco euergetes, appunto), e il culto
di stato del sovrano come incarnazione del dio raggiunse l'acme.
Perciò egli non poté che essere felice quando, in quell’anno, la
moglie Berenice II mise al mondo il suo terzogenito, nominato anch’egli
Tolomeo. Ora era certo che il suo regno avbrebbe avuto una degna stirpe e la dinastia avrebbe potuto continuare a dominare su quella rilevante fetta d’Africa: il
primogenito Maga prometteva rettitudine e un’indole vigorosa, in sintonia con
il padre, la terza sorella era ormai una donna virtuosa, un’ottima spalla in
caso di difficoltà e Tolomeo sarebbe stato un più che valido consigliere e,
chissà, generale dell’esercito. Tutto perfetto.
Eppure quest’ultimo decise di correggere il solco di
moderazione e virtù segnato dai genitori e cambiare la propria sorte: egli
voleva governare. Quindi, appena l’età gli donò la forza fisica e psicologica
necessarie, preparò un pentolone d’acqua, lo portò a bollitura e, in un tardo e
ozioso pomeriggio, vi gettò il fratello maggiore, nonché primogenito ed erede
al trono, Maga, camuffando il tutto come uno stupido, sfortunato e sciagurato
incidente.
Così il prodigioso padre, avendo trascorso ormai buona parte
della sua vita e desideroso di passare la vecchiaia in una meritata
tranquillità, nel 222 a.C. lasciò il potere nelle mani del suo amato figlio,
che divenne quindi Tolomeo IV. Egli, per ringraziamento, credendo che i
genitori fossero un poco stressanti e ritenendo che non gli avrebbero permesso
di governare in pace e di assecondare le sue voglie, li avvelenò entrambi, macchiandosi di parenticidio. Ciò
gli valse l’antitetico e ironico soprannome di Filopatore, ossia “amante del
padre”. Poi, per terminare l'opera, assassinò anche lo zio Lisimaco. Per
completare la famiglia ed avere al contempo meno parenti impiccioni possibile,
prese come sposa sua sorella Arsinoe.
Infine lasciò l’amministrazione del regno interamente nelle
mani dei suoi consiglieri e delegò gli affari di stato al suo corrotto ministro
e generale Sosibio e al funzionario Agatocle, mantenendo però la gestione
diretta dell’esercito e delle imprese belliche, nonostante la sua manifesta
incapacità.
Una volta sistemate tali seccanti faccende poté darsi con
tutto se stesso alla sua vocazione: il culto di Dioniso. Infatti egli era
iniziato al culto dionisiaco e cercò, con inumano fanatismo, durante la sua
voluttuosa vita, di diffonderlo e svilupparlo. Era famoso in tutto il paese per
l’amore verso i piaceri della vita, per l’interesse nei confronti delle orge
sfrenate e, in generale, per l’essere dominato dai vizi ed era perciò anche
conosciuto con l'appellativo di Nuovo Dioniso.
Inoltre Alessandria, sotto Tolomeo IV, diventò
sempre più fastosa e sfarzosa e la corte reale addirittura splendida. Egli fece
proseguire la tradizione intellettuale della città e vi fece erigere un tempio
dedicato a Omero. Infatti egli era un grande amante della letteratura e si
dilettava nello scrivere commedie e tragedie.
Durante il suo breve regno, Tolomeo Filopatore, riuscì anche
a godere delle gioie procurate dalle vittorie militari, la più grandiosa delle
quali fu quella contro Antioco III Il Grande, re della Siria. Quest’ultimo, difatti,
nel 221 a.C. iniziò una guerra contro l’Egitto per la conquista di Israele, che
ebbe termine nel 217 a.C. nella gloriosa battaglia di Rafia che vide vittorioso
l’esercito guidato dallo stesso Tolomeo.
A tal proposito è stimolante citare due episodi al riguardo.
Tolomeo, dopo aver sconfitto Antioco, come egli sosteneva,
coll’aiuto del Sole, per celebrare le feste della vittoria e ingraziarsi il dio
non solo fece grandiosi sacrifici, ma dedicò anche quali vittime quattro
elefanti di enormi dimensioni, credendo in tal modo di rendere omaggio alla
divinità. Fu però turbato da un sogno in cui il Sole lo minacciava per aver
ordinato quell’inconsueta e assurda offerta. Senza batter ciglio fece allora
fondere quattro elefanti di bronzo e li consacrò al dio al posto di quelli che
aveva immolato, per placarlo e renderlo favorevole, senza pensare che così
aumentò soltanto il sacrificio di materiali e vite umane, perse nella
produzione degli idoli.
Il secondo episodio viene citato nel Terzo Libro dei Maccabei
(apocrifo per la Chiesa Cattolica, ma non per quella Ortodossa): Tolomeo, dopo
questa esaltante vittoria, si trattenne
per alcuni mesi nel territorio occupato percorrendone le città e visitandone i
santuari, per puro diletto. Tra i santuari che egli desiderava visitare c'era
anche il Sancta Sanctorum del Tempio
di Gerusalemme, il penetrale, in cui non entrava che il sommo sacerdote una
volta all'anno. Gli Ebrei si opposero al suo desiderio, ma egli volle entrare
ugualmente, e Dio, dopo una preghiera del sommo sacerdote, lo colpì di una
stupefazione e di un irrigidimento, che non ebbe termine se non quando il re fu
trasportato fuori.
Si continua poi a narrare che per vendetta Tolomeo ordinò che
gli Ebrei non potessero ottenere il diritto di cittadinanza in Alessandria, se
non facendo omaggio al culto di Dioniso e portandone sul corpo a segno
indelebile il simbolo, l'edera. Gli Ebrei rifiutarono, e allora l'ira del re si
riversò sugli Ebrei dell'interno dell'Egitto, che, accusati di tradimento,
furono trasportati in Alessandria per essere condannati e giustiziati.
E’ degna di ammirazione la modalità che il Re scelse per la
condanna: ordinò che tutti gli ebrei condotti in città venissero rinchiusi
nell'ippodromo, per poi scatenare contro di loro la furia di 500 elefanti
drogati con vino e incenso. Ma ancora una volta fu l'intervento divino a
salvare gli ebrei: Tolomeo per due giorni cadde in un sonno profondo e
dimenticò il suo proposito di vendetta.
Il terzo giorno tornò all'ippodromo per dare compimento al
suo empio disegno. Quando fu in procinto di aizzare le bestie contro la folla
di circoncisi rinchiusi, due angeli comparsi dal Cielo fecero rivoltare gli
elefanti contro le truppe di Tolomeo, massacrandole. A questo punto Tolomeo si
rassegnò, liberò gli ebrei e consegnò loro delle
lettere di protezione per tutti i governatori dell'Egitto.
Infine vorrei narrare un’ultima vicenda, esemplare anch’essa.
Il re di Sparta Cleomene III, figlio del famigerato Leonida
II, combattendo la guerra del Peloponneso contro gli Achei, arrivò nel 223 a.C.
ad una stretta finale del conflitto: la battaglia di Sellasia, una cittadina non
lontana da Sparta. Qui si decideva la sorte della guerra e le forze rimaste degli
eserciti si fronteggiarono perciò a viso aperto. Cleomente perse questa ineluttabile
battaglia e, per evitare la persecuzione, fuggì con la famiglia ad Alessandria
d’Egitto, alla corte dell’amico re Tolomeo III, il quale lo accolse con grande
generosità, accomodando ogni sua richiesta. Ma l’anno dopo vi fu la successione
al trono d’Egitto e da quel momento l’ospitalità si tramutò in sequestro.
La segregazione durava ormai da parecchi mesi, così, mentre
che Tolomeo assisteva alle grandi cerimonie del culto di Serapi a Canopo, l’orgoglioso
Cleomene tentò d’evadere e di sollevare gli alessandrini contro il loro re. Ma
il suo disegno non riuscì e Cleomene e i suoi partigiani non trovarono altro
rifugio che il suicidio. La loro morte però non saziò del tutto la vendetta che
il Filopatore voleva riscuotere per quel tentativo: egli fece mettere in croce
il cadavere dell’ex re di Sparta e fece strozzare ai suoi piedi la moglie, la
madre e i figli di quel disgraziato.
Abbruttito dalle dissolutezze, morì ancor giovane nel 205
a.C. e lasciò come unico erede al trono il figlio di 5 anni. Perciò il corrotto
entourage di corte assassinò la degna e coraggiosa Arsinoe e prese il potere,
conducendo però l’Egitto verso una lunga serie di sconfitte militari e
rivoluzioni.
Il Vecchio
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