Memòria, "facoltà di ritenere e richiamare i pensieri e le emozioni primitivi senza che si ripresenti l'occasione che li suscitò."
Di fronte a me, un centinaio di braccia alzate in una cortina di tetroidracannabinolo cantano un inno alla performance della loro rockstar. Un inno d'oblio, distillato da fotocamere, tàblet e smàrtfon. Così domani potranno raccontarsi (e raccontare) quanto sia stato fantastico esperire questa notte, senza sforzo alcuno delle capacità verbali logico-sintetiche-sintattiche. E alla lunga, se saranno abbastanza fortunati, potranno persino dimenticare completamente i profumi dei gerani alle finestre o il ruvido marmo bianco del duomo visitato nella vibrante attesa dell’evento.
Mi sorge un pensiero: quando mai, nella storia umana, il progresso fu frutto del pensiero e della sua raffinata e coerente espressione (per inciso, esiste una parola greca che riassume questa complicata espressione italiana: λόγος), o dello stupore suscitato dalle innumerevoli e sconvolgenti sensate esperienze?
D’altronde, si sa: perché visitar la biblioteca prendendo in prestito una copia del “Decameron” (immergendosi nel terrore nella Firenze appestata del 1348 e nella conviviale testimonianza della natura orale della comunicazione del sapere prima dell’avvento della scrittura e della stampa), quando si può partecipare alla gara di selfie con gli amici durante la pausa plurioraria nel cortile della succitata? D’altronde, Fiammetta e compagni erano stati così imbecilli da chiudersi nell’unica villa di campagna in Toscana senza uàifài né (o si scrive nè? Non ricordo più la differenza…) treggì: se persero trenta follower su Twitter e nessuno mise mai più un làik ai loro successivi scatti, fu colpa di quella somara di Pampinea.
Una volta ho letto di un comandante russo di sottomarini, che per dispetto all’umanità non lanciò un siluro a testata nucleare contro una nave da guerra americana; doveva essere l’ottobre 1962. Molte volte mi chiedo cosa sarebbe successo se l’avesse fatto. Alcune volte mi chiedo perché non lo fece. Già: perché non lo fece?
Siedo qui, sul letto, fissando il cursore lampeggiante, conscio dell'inutilità del gesto della scrittura. Ma pazienza: domani, fortuna permettendo, avrò dimenticato anche quest’ultimo pensiero.
Hirohito
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