E' notte e cammino ubriaco in una città di barboni e puttane grasse. Assenzio! Che delirio! Non c'è nulla di meglio del delirio provocato dall'assenzio! Sento il cervello che odora di umido! C'è silenzio, il viale è cicondato di delicati fiori dal profumo di perla. Che meraviglia! Dietro un cespuglio un ricco borghese si fa scopare da una giovane abissino. Non c'è ninte di meglio dell'assenzio! Cammino, al mio fianco mi segue Io. Io: Guarda! Guarda quel cavallo com'è bello, che grazia, che portamento, che classe! Ti piace quel cavallo? E' bellissimo! Non credi? Gaurdalo guardalo! Oh c'è una panca piana! E lui sta provando a sollevare il bilancere! Com'è buffo! Com'è che ridicolo quel cavallo!
Io: Continua a parlare Io! Mi piace quando vieni a trovarmi! Continua a raccontarmi del cavallo!
Io: Guarda c'è un toro! E' così forte, imponente, maestoso! Senti? Sta raccontando di quando combatteva nell'arena! Dei toreri che ha ucciso! Che belle corna, che petto enorme! E guarda? Adesso sta cercando di prendere una penna e di scrivere le sue memorie! Povero toro, non capisce che con gli zoccoli non potrà mai scrivere!
Io: Come'è bello ascoltarti! Dici sempre la verità!
Io: E' forse diverso l'uomo ed il suo intelletto?
Dal cespuglio si ode un grido! Il borghese ha avuto l'orgasmo!
-Prometeo
mercoledì 16 luglio 2014
martedì 15 luglio 2014
Il piccolismo dell'uomo. Nano di merda.
Non so più dove sbattere la testa. Sono un dio sceso in terra, ma non ho la sbatta di fare un cazzo. Potrei conquistare le steppe asiatiche e ricordare all'uomo cosa vuol dire avere a che fare con un dio beone alcolista di sangue. Ma non ho la sbatta. La grandezza immensa delle mie ambizioni è tale da godere di sé stessa senza bisogno di eiaculare.
Resta che non so più dove sbattere la testa. Guardo al domani e vedo una storia già letta: consuma, produci, crepa (GLF); per me la vita che ho davanti è solo sbattiti per niente, crepa. Ma no. NO. Io dico no. Con molta serenità, tra l'altro. Ora sta a vedere: vendo tutto, do tutti i miei soldi a quei pezzi di merda dei poveri e poi inizio a predicare il vangelo in centro.
-Te, ragazza di sedicianni troia (troia perché me lo fai venire duro), te che porti te in giro per il centro, sai che c'è la zizzania e il grano e là saràpiantoestridodidenti? Certo che non lo sai! Vendi tutto e seguimi! Mi manterrai con amore perché io sono un dio e intanto spiegheremo alla gente che il pane dei farisei non bisogna mangiarlo e chihaorecchieperintendereintenda!
Un tizio in bianco mi guarda storto mentre esorcizzo un capitano di vascello; dice che non ho capito un cazzo e che il mio Dio è più debole del suo.
-Ti sfido Dico io A far piovere sangue!
Lui si inginocchia e prega una Bestemmia blasfema o qualche altro incubo mesopotamico. Piove sangue.
-Trasforma il tuo bastone in serpe Mi fa.
Ginocchio per terra e...
No.
Mi sono rotto il cazzo anche di 'sta storia di predicare il vangelo in via Emilia. Tanto ci credo, ma non a sufficienza. Mando a fanculo il sumero. Dico addio alla ragazzina figa.
La soluzione e nell'alcol. Uccidersi nell'annichilimento. Già. Vabbè. Non sono uno per le soluzioni facili, IO. Ci fosse qualche movimento estremista convincente. Voglio lanciare bombe su Cracovia per fare grande la Germania. Mi ritrovo a piangere in cucina perché Hitler s'è sparato in testa.
VOGLIO L'OLOCAUSTO DELIRANTE DI UNA FESTA DEDICATA A BACCO: D'ANNUNZIO OFFICIANTE.
Voglio sparare a D'Annunzio. Che testa di cazzo incredibile D'Annunzio.
Wagner perché sei diventato un cavallo? Scriveremo una bella opera insieme senza tutto quel firullì firullà dei flauti: al posto dell'orchestra ci sarà un reggimento, già sogno il solo dell'obice innamorato.
No. Non ho la sbatta. La nostra generazione non ha la sbatta. L'uomo non ha la sbatta. Potevamo dichiarare guerra all'orrore dell'ordine, conquistare l'impero del BELLO, ma non abbiamo la sbatta. Nati liberi, viviamo nelle catene della sbatta.
Bevo acqua minerale.
Resta che non so più dove sbattere la testa. Guardo al domani e vedo una storia già letta: consuma, produci, crepa (GLF); per me la vita che ho davanti è solo sbattiti per niente, crepa. Ma no. NO. Io dico no. Con molta serenità, tra l'altro. Ora sta a vedere: vendo tutto, do tutti i miei soldi a quei pezzi di merda dei poveri e poi inizio a predicare il vangelo in centro.
-Te, ragazza di sedicianni troia (troia perché me lo fai venire duro), te che porti te in giro per il centro, sai che c'è la zizzania e il grano e là saràpiantoestridodidenti? Certo che non lo sai! Vendi tutto e seguimi! Mi manterrai con amore perché io sono un dio e intanto spiegheremo alla gente che il pane dei farisei non bisogna mangiarlo e chihaorecchieperintendereintenda!
Un tizio in bianco mi guarda storto mentre esorcizzo un capitano di vascello; dice che non ho capito un cazzo e che il mio Dio è più debole del suo.
-Ti sfido Dico io A far piovere sangue!
Lui si inginocchia e prega una Bestemmia blasfema o qualche altro incubo mesopotamico. Piove sangue.
-Trasforma il tuo bastone in serpe Mi fa.
Ginocchio per terra e...
No.
Mi sono rotto il cazzo anche di 'sta storia di predicare il vangelo in via Emilia. Tanto ci credo, ma non a sufficienza. Mando a fanculo il sumero. Dico addio alla ragazzina figa.
La soluzione e nell'alcol. Uccidersi nell'annichilimento. Già. Vabbè. Non sono uno per le soluzioni facili, IO. Ci fosse qualche movimento estremista convincente. Voglio lanciare bombe su Cracovia per fare grande la Germania. Mi ritrovo a piangere in cucina perché Hitler s'è sparato in testa.
VOGLIO L'OLOCAUSTO DELIRANTE DI UNA FESTA DEDICATA A BACCO: D'ANNUNZIO OFFICIANTE.
Voglio sparare a D'Annunzio. Che testa di cazzo incredibile D'Annunzio.
Wagner perché sei diventato un cavallo? Scriveremo una bella opera insieme senza tutto quel firullì firullà dei flauti: al posto dell'orchestra ci sarà un reggimento, già sogno il solo dell'obice innamorato.
No. Non ho la sbatta. La nostra generazione non ha la sbatta. L'uomo non ha la sbatta. Potevamo dichiarare guerra all'orrore dell'ordine, conquistare l'impero del BELLO, ma non abbiamo la sbatta. Nati liberi, viviamo nelle catene della sbatta.
Bevo acqua minerale.
Antonio Salazar De Oliveira
lunedì 14 luglio 2014
lunedì 7 luglio 2014
I due
La nave proseguiva. Le onde, come una mamma africana, cullavano con passione il suo cammino. La luna, piena, osservava curiosa, dall'alto, con la testa piegata da una parte e tanto giallo da offrire a quella nave, e a quelle onde, e a quelle due persone che, pensierose, si guardavano dritto negli occhi. Due ragazzi sulla trentina, vestiti in maniera strana, vecchia, quasi fossero usciti da un quadro di metà ottocento. I loro cappelli a cilindro, uno nero e uno marron, stridevano fastidiosamente di fianco alla modernità luccicante della nave. Luci dappertutto, gialle, rosse, verdi. La luna, che tanto offriva e continuava ad offrire, faticava a imporsi su quei lunghi cilindri colorati che ruotavano rapidamente su se stessi, e spesso si vedeva rimbalzato dritto in faccia il proprio contributo contro la notte nera.
I ragazzi parlavano.
Pensierosi, parlavano, e fissavano con occhi persi ora la faccia dell'altro ora il mare di acqua magica, che sembrava esser stato colorato da un bambino allegro e fantasioso.
Parlavano della loro vita. Non erano felici, i ragazzi, Andrea e Paolo, che avevano appena finito l'università, medicina, e però, nonostante il futuro apparisse dinnanzi a loro chiaro e diritto, non erano convinti di poter rinchiudere la propria vita entro segmenti così severi da non permettere balli, piroette, salti, cadute. In fondo in fondo, però, ed è questo il dramma, in fondo in fondo, tutti e due, in un buco profondo del loro corpo, forse in fondo al cuore forse in fondo allo stomaco, sapevano che tutte quelle parole erano leggere, troppo leggere per resistere a ciò che le circondava, e sarebbero volate via non appena il vento avrebbe deciso che non meritavano più di essere ascoltate.
Allora il cielo si aprì, improvvisamente. Il cielo si aprì e la luna dovette guizzare via, inarcando la schiena per non restare vittima dello squarcio e diventando così un misero quarto di luna. E si sentì una voce.
Porco Dio.
La voce risuonò gigantesca; e le montagne, che dalla nave, ormai prossima a raggiunger terra, si vedevano in lontananza, quelle montagne alte e fiere si piegarono su se stesse per la paura, diventando misere colline; e le colline, che stavano sotto alle montagne, diventarono pianure; e tutto il mondo si abbassò e si mise gli indici nelle orecchie per difendersi da quel tuono fragoroso. E nonostante questo, nonostante la voce fosse stata sentita da tutti e non lasciasse spazio ad ambiguità, nonostante ogni sillaba fosse stata così chiara da poter essere ripetuta nell'eternità anche dalla più stolta delle creature, nonostante tutto ciò nessuno avrebbe in quel momento giurato di aver sentito quelle parole. Nessuno; e tantomeno Andrea e Paolo, che ora avevano aggrottato le fronti e si erano tolti quei brutti cappelli a cilindro; e tantomeno la luna, diventata quarto di luna, che continuava ad osservare tutto da qualche chilometro di distanza.
Allora il cielo, forse percepita questa incredulità del mondo, ripeté ancora una volta e ancora più forte quelle terribili parole.
Porco Dio.
E, come prima, il mondo, sebbene avesse memoria antica e si ricordasse di tutte quelle volte in cui il cielo si era aperto e una voce si era sentita, il mondo di nuovo restò perplesso. Nessuno poteva credere che Dio avesse detto una cosa simile. Che Dio avesse detto Porco Dio.
Ma era così.
Dio aveva detto Porco Dio.
Allora il mondo, essendo stato Creato da Dio, dovette accettare quelle parole, e iniziò ad interrogarsi sul loro significato.
Si poteva vedere la luna, in lontananza, che si grattava la testa, pensierosa, e poco a poco, per lo sforzo di immaginazione, diventava sempre più rossa e si gonfiava, tendendo a diventare la grossa boccia ch'era prima, un po' come fa la guancia di un uomo quando gonfia un palloncino. Le montagne, che avevano ancora il collo contratto e la testa nascosta fra le gambe per lo spavento, a poco a poco si ritiravano su, affascinate dai ragionamenti che avrebbero forse condotto alla risoluzione del dilemma.
E poi c'erano Andrea e Paolo, su quella nave, su quella crociera che chissà perché aveva solo due passeggeri, che avevano aggrottato ancora di più le fronti e si guardavano negli occhi impauriti.
Ah, ma di nuovo! di nuovo come prima i due sapevano, sapevano, sempre in quel buco nascosto chissà dove nel loro corpo, il motivo esatto di quelle parole. Non se lo sarebbero mai confessato, neppure quando anni dopo lavorarono per tanto tempo assieme, come chirurghi. Da una parte non ce n'era bisogno, perché ognuno, nella fronte dell'altro, in quelle rughe perplesse aveva riconosciuto una consapevolezza che non aveva bisogno di conferme; ma dall'altra, dall'altra parte, entrambi cercavano nel rifiuto della verità un modo per convincersi di non sapere un bel niente, o al massimo di sapere che quelle parole erano rivolte a qualche sconosciuto che viveva chilometri e chilometri più in là.
E pensare che Dio deve averlo fatto a malincuore, questo gesto. Offendersi da solo, forse non ce n'era bisogno.
E però come meglio far capire a due persone, due ragazzi, due nullità, come meglio fargli capire che la loro esistenza, finché si limita alle parole, alle ambizioni, ai sogni, è più vuota di un fiasco di vino a fine serata? Quale modo migliore del dire: ho sbagliato, perché vi ho messo al mondo, vigliacchi, maledetti, voi, che di fronte all'acqua ghiacciata immergete l'alluce e poi, impauriti peggio di una vecchia vedova, lo ritirate fuori e fuggite all'indietro; ho sbagliato, perché non meritavate tanta bellezza, tanto splendore, tante opportunità, voi che vi siete accontentati di una strada senza salite, senza tornanti, senza pericoli; ho sbagliato, dunque, ho sbagliato, e per questo sono un Porco. Non c'era modo migliore; e infatti, di notte, quando i chirurghi di successo tornavano a casa, dalle belle mogli che aspettavano dormendo, e dai bei figli intelligenti che venivano stritolati sempre più nel futuro ragionevole, quando tornavano a casa e si trovavano davanti tutti i tasselli al posto giusto, infilati perfettamente l'uno accanto all'altro, nelle loro menti, nelle menti dei chirurghi perfetti risuonavano quelle parole, quel Porco e quel Dio che rendevano la loro vita in qualche modo inutile, povera, timida, impaurita, fiacca, soprattutto alla luce del motivo profondo della reazione divina: che - ormai possiamo dirlo - fu così tremenda proprio perché i due avevano intuito la possibilità di scivolare via come una saponetta dalla presa mortale dell'ordinario; ma, vigliaccheria immonda, laida, malefica, non ebbero mai il coraggio di fare quell'ultimo salto decisivo.
I ragazzi parlavano.
Pensierosi, parlavano, e fissavano con occhi persi ora la faccia dell'altro ora il mare di acqua magica, che sembrava esser stato colorato da un bambino allegro e fantasioso.
Parlavano della loro vita. Non erano felici, i ragazzi, Andrea e Paolo, che avevano appena finito l'università, medicina, e però, nonostante il futuro apparisse dinnanzi a loro chiaro e diritto, non erano convinti di poter rinchiudere la propria vita entro segmenti così severi da non permettere balli, piroette, salti, cadute. In fondo in fondo, però, ed è questo il dramma, in fondo in fondo, tutti e due, in un buco profondo del loro corpo, forse in fondo al cuore forse in fondo allo stomaco, sapevano che tutte quelle parole erano leggere, troppo leggere per resistere a ciò che le circondava, e sarebbero volate via non appena il vento avrebbe deciso che non meritavano più di essere ascoltate.
Allora il cielo si aprì, improvvisamente. Il cielo si aprì e la luna dovette guizzare via, inarcando la schiena per non restare vittima dello squarcio e diventando così un misero quarto di luna. E si sentì una voce.
Porco Dio.
La voce risuonò gigantesca; e le montagne, che dalla nave, ormai prossima a raggiunger terra, si vedevano in lontananza, quelle montagne alte e fiere si piegarono su se stesse per la paura, diventando misere colline; e le colline, che stavano sotto alle montagne, diventarono pianure; e tutto il mondo si abbassò e si mise gli indici nelle orecchie per difendersi da quel tuono fragoroso. E nonostante questo, nonostante la voce fosse stata sentita da tutti e non lasciasse spazio ad ambiguità, nonostante ogni sillaba fosse stata così chiara da poter essere ripetuta nell'eternità anche dalla più stolta delle creature, nonostante tutto ciò nessuno avrebbe in quel momento giurato di aver sentito quelle parole. Nessuno; e tantomeno Andrea e Paolo, che ora avevano aggrottato le fronti e si erano tolti quei brutti cappelli a cilindro; e tantomeno la luna, diventata quarto di luna, che continuava ad osservare tutto da qualche chilometro di distanza.
Allora il cielo, forse percepita questa incredulità del mondo, ripeté ancora una volta e ancora più forte quelle terribili parole.
Porco Dio.
E, come prima, il mondo, sebbene avesse memoria antica e si ricordasse di tutte quelle volte in cui il cielo si era aperto e una voce si era sentita, il mondo di nuovo restò perplesso. Nessuno poteva credere che Dio avesse detto una cosa simile. Che Dio avesse detto Porco Dio.
Ma era così.
Dio aveva detto Porco Dio.
Allora il mondo, essendo stato Creato da Dio, dovette accettare quelle parole, e iniziò ad interrogarsi sul loro significato.
Si poteva vedere la luna, in lontananza, che si grattava la testa, pensierosa, e poco a poco, per lo sforzo di immaginazione, diventava sempre più rossa e si gonfiava, tendendo a diventare la grossa boccia ch'era prima, un po' come fa la guancia di un uomo quando gonfia un palloncino. Le montagne, che avevano ancora il collo contratto e la testa nascosta fra le gambe per lo spavento, a poco a poco si ritiravano su, affascinate dai ragionamenti che avrebbero forse condotto alla risoluzione del dilemma.
E poi c'erano Andrea e Paolo, su quella nave, su quella crociera che chissà perché aveva solo due passeggeri, che avevano aggrottato ancora di più le fronti e si guardavano negli occhi impauriti.
Ah, ma di nuovo! di nuovo come prima i due sapevano, sapevano, sempre in quel buco nascosto chissà dove nel loro corpo, il motivo esatto di quelle parole. Non se lo sarebbero mai confessato, neppure quando anni dopo lavorarono per tanto tempo assieme, come chirurghi. Da una parte non ce n'era bisogno, perché ognuno, nella fronte dell'altro, in quelle rughe perplesse aveva riconosciuto una consapevolezza che non aveva bisogno di conferme; ma dall'altra, dall'altra parte, entrambi cercavano nel rifiuto della verità un modo per convincersi di non sapere un bel niente, o al massimo di sapere che quelle parole erano rivolte a qualche sconosciuto che viveva chilometri e chilometri più in là.
E pensare che Dio deve averlo fatto a malincuore, questo gesto. Offendersi da solo, forse non ce n'era bisogno.
E però come meglio far capire a due persone, due ragazzi, due nullità, come meglio fargli capire che la loro esistenza, finché si limita alle parole, alle ambizioni, ai sogni, è più vuota di un fiasco di vino a fine serata? Quale modo migliore del dire: ho sbagliato, perché vi ho messo al mondo, vigliacchi, maledetti, voi, che di fronte all'acqua ghiacciata immergete l'alluce e poi, impauriti peggio di una vecchia vedova, lo ritirate fuori e fuggite all'indietro; ho sbagliato, perché non meritavate tanta bellezza, tanto splendore, tante opportunità, voi che vi siete accontentati di una strada senza salite, senza tornanti, senza pericoli; ho sbagliato, dunque, ho sbagliato, e per questo sono un Porco. Non c'era modo migliore; e infatti, di notte, quando i chirurghi di successo tornavano a casa, dalle belle mogli che aspettavano dormendo, e dai bei figli intelligenti che venivano stritolati sempre più nel futuro ragionevole, quando tornavano a casa e si trovavano davanti tutti i tasselli al posto giusto, infilati perfettamente l'uno accanto all'altro, nelle loro menti, nelle menti dei chirurghi perfetti risuonavano quelle parole, quel Porco e quel Dio che rendevano la loro vita in qualche modo inutile, povera, timida, impaurita, fiacca, soprattutto alla luce del motivo profondo della reazione divina: che - ormai possiamo dirlo - fu così tremenda proprio perché i due avevano intuito la possibilità di scivolare via come una saponetta dalla presa mortale dell'ordinario; ma, vigliaccheria immonda, laida, malefica, non ebbero mai il coraggio di fare quell'ultimo salto decisivo.
Ruhollah
Iscriviti a:
Commenti (Atom)