domenica 25 maggio 2014

Il seggio

Il seggio è un mondo virtuale ben peggiore di un videogioco. La gente va lì, dietro a una tenda che se ci dovessi andare io, col cazzo che ci vado, o quantomeno gli farei notare che oh, me l'avete detto voi che sono importante, e allora datemi anche un posto decente porca vacca, che dentro una scatola con una tenda le persone importanti non ci entrano. Quindi la gente entra lì e si sente volare, perché io sto decidendo del mio futuro, io sto facendo valere un mio diritto, io, almeno qui che si può, mi metto il vestito di quelli che contano per davvero. Entra lì con quei due tre fogli, a seconda delle volte, e fa due tre croci, a seconda delle volte. Sarà un'operazione di qualche secondo, cosa volete mai, a far due croci si fa presto. Forse qualcuno si ferma ad ammirarle, le croci, simbolo della dignità del cittadino eccetera eccetera.
La dignità del cittadino. Mi ha sempre fatto riflettere questa espressione. L'ho sentita tante volte, alla televisione, e l'ho letta tante volte, sui giornali; e a dir la verità non l'ho mai capita tanto bene. Sembra che la gente, quando sente questa espressione, si senta gratificata. La dignità del cittadino, che bello, io son cittadino, e quindi ho dignità, che bello, la dignità del cittadino, si può camminare a testa alta ad esser cittadini. Secondo me è un po' come un contadino tirchio che compra il grano più scadente e lo butta là alle sue galline. Le galline, quando vedono quei chicchi piombare dal cielo e cadere lì davanti, dicono la stessa cosa, dicono: oh, che buono, il grano più scadente, come siam fortunate a mangiare il grano più scadente, oh, che buono, oh, che buono, il grano più scadente. E i politici, quando dicono "la dignità del cittadino", è come se aprissero un sacco da cinquanta chili di grano scadente e lo rovesciassero in testa alla gente. Trovare la propria dignità fra le parole di un uomo che probabilmente è più inutile di un conduttore televisivo di seconda mano non è granché. Bisognerà che una persona, nel cercare la propria dignità, provi ad attingere da altre fonti: altrimenti è dura trovarla. La si può trovare in certi momenti, ma è roba passeggera, di poco conto, niente più.
Però va be', torniamo a quell'uomo, anzi era la gente, però facciamo fosse l'uomo, c'era l'uomo che aveva fatto le due tre croci a seconda delle volte e aveva ammirato per un po' quelle croci simbolo della dignità del cittadino. E l'uomo aveva le ali. Poi, dopo tutto questo, che, non dimentichiamo, dura qualche secondo, dopo tutto questo ambaradan di emozioni intense ed impulsive l'uomo esce, scostando per la seconda volta la tenda impolverata.
E qui, mi sono immaginato tante volte la situazione: l'uomo che esce con queste ali imponenti, con la schiena dritta e con lo sguardo fiero, orgoglioso, di chi sa di poter fissare tutti negli occhi; con la matita in mano, luccicante, con la punta rivolta al cielo... Poi mette le schede dentro alle scatole, anche loro due o tre a seconda delle volte, e poi boh, altre cose del genere, non lo so, forse saluta gli scrutatori, forse saluta i carabinieri, forse non lo so, riprende la carta d'identità, e così via.
Poi, finalmente, esce.
Ed è qua che ho sempre pensato a che fine possano fare le sue ali imponenti e il suo sguardo fiero. Io credo che, a poco a poco, tutto svanisca nel nulla. Forse non subito, forse per tutta la giornata l'uomo si sente felice e importante; forse anche il giorno seguente, non lo metto in dubbio; ma poi basta. E dopo? In strada non ci sono né le scatole né le tende; e allora è un bel problema girare col sorriso per chi affida la propria dignità a quelle croci fatte a matita.
È per questo che dico che il seggio è un mondo virtuale. Perché si crede di essere importanti nel mondo reale, e invece lo si è soltanto dentro una scatola che poco ha a che vedere con quello che accade fuori. Poi, voglio dire, concedetemelo, è proprio un mondo virtuale di merda. Di solito nei mondi virtuali si possono fare cose straordinarie, come volare alti nel cielo, uccidere un intero esercito con una sola pistola, parlare coi draghi, trasformarsi in creature mitologiche, e ancora volare, volare, e poi tornare umani, e riprendere in mano la pistola e tornare a uccidere, e poi combattere come un samurai, e poi tante altre cose che son belle appunto perché non vivono nel mondo ordinario. Là, dentro alla scatola, niente. Soltanto una matita. Smangiucchiata, perlopiù. E ditemi come ci si fa a divertire, così. Mah. La vita di un cittadino modello deve proprio essere una noia mortale. D'altronde stiamo parlando di democrazia, che è come parlare del niente; e allora non c'è neanche da stupirsi. Però ci si spera sempre, di trovare qualcosa di interessante in luoghi e in persone dove si pensava fosse tutto deserto, o dove fino a ieri era tutto deserto; e invece è una delusione continua. D'altronde, Gesù era stato molto chiaro.

"A chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha."   Matteo 13,12 (e tante altre volte, a dirla tutta)

Merde siete e merde resterete, in poche parole.


Ruhollah

domenica 11 maggio 2014

Il buio.

(Furto di una prosa lirica nevrastenica.)

MODENA
1.La città sta identica come un ricordo di cadavere. Nella sua piattezza, l'agosto torrido strangola i suoi polmoni pieni di polvere. Archi di ponti sulla necropoli idrica in asfalto. Umidità senza canali. Uno zingaro a gettoni suona musica secca indifferente vuoto. Lontane figure di assenti infestano la piazza. L'aria crespa s'accartoccia irritante e arraspa la gola. Il tempo sospeso decompone il mondo cloroformizzato.

2.Guardai il campanile islamico (la punta violenta stuprava il cielo). Un pensiero iperacuto conficcò l'angolo sanguinoso nell'Inconscio. Il cranio stimolato vide fantasmi carnificati di passeggiatrici: la campagna imprigionata nel catrame: corpi da peste e da bordello. Il muezzin d'ottone dall'alto dindondò oro liquido: Sera. SOGNO D'OCCHI: nella solitudine metabolizzo LEI, carne rosa occhi infinito: motivo d'esistenza per seminaristi del Nulla.

3. Persomi, colui che io ero stato camminava Teseo nel labirinto estense. Vagava nel silenzio meridiano del dedalo posticcio di architetture. Una scena deserta con sopra sospeso un cimitero commediante. Balenio di una fontana nella luce fotografica. Un motto latino sanguinava intestini.

4. Una processione di giovani martiri dell'edonismo, va a celebrare l'aperitivo. Chiude la colonna una flagellante incrostata di sangue enologo.

5. Strisciavano le loro ombre lungo i muri rossi e scalcinati: egli seguiva: burattino di carne. Sputò una parola alla donna in cilicio di piacere ma l'aria di sabbia la uccise. Un assassinato dalla materia lo guardò con sguardo assurdo lucente e vuoto. La flagellante sorrideva estatica del suo piacere stomacoso, ebete e sola nella luce catastrofica.

6. Non saprò mai come ripescai il mio spirito suicida in un fosso limico. Ci accompagnammo per strade gracidanti puzza. Un trattore cantava il suo motivo rustico come uno stronzo il suo motivo fognario. Alla fine del coltivato la porta bussata del night. Una guardia in rosa pallido e grasso m'attrasse. Entrai. Una mercante di fighe opulenta e sontuosa mescolava canali unti con occhi infantili. Salutai. Una voce flaccida di satrapo rispose. Distinsi nell'altra stanza il corpo addormentato di una bocca rossa semiaperta. Aspettai.

7. L'annichilente sequenza televisiva pugnalava monotona il mio cranio. Guardavamo assenti il bagaglio cercando di assassinare minuti, la bocca rossa semiaperta contemplava come una sfinge la luce danzante. Fuori il deserto andava spegnendosi.

8. Il tramonto colava i suoi umori. La voce della ruffiana s'era meccanizzata, la cancrena la stava corrompendo. La sera stava calando, languida amica del criminale. Il mostro sterile, la bocca rossa e il poeta s'impastavno la bocca con la sterilità del mondo.

9. Giunse il buio e fu compita la conquista della troia. Il vuoto mescolarsi delle due carcasse gli occhi atterriti di voluttà ispidi capelli neri intricavano una fantastica vicenda. Mentre nella testa s'aggirava il demone di LEI: ossessione: vampira: chimera. Mentre la Maddalena chiedeva in sussulti la mia iniziazione ai misteri del fango. Mentre vivevo il lungo buio degli inganni e delle immagini.

Antonio De Oliveira Salazar

sabato 10 maggio 2014

A nice cup of tea


If you look up ‘tea’ in the first cookery book that comes to hand you will probably find that it is unmentioned; or at most you will find a few lines of sketchy instructions which give no ruling on several ofthe most important points.

This is curious, not only because tea is one of the main stays ofcivilization in this country, as well as in Eire, Australia and New Zealand, but because the best manner of making it is the subject ofviolent disputes.
When I look through my own recipe for the perfect cup of tea, I findno fewer than eleven outstanding points. On perhaps two of them there would be pretty general agreement, but at least four others areacutely controversial. Here are my own eleven rules, every one ofwhich I regard as golden:
First of all, one should use Indian or Ceylonese tea. China teahas virtues which are not to be despised nowadays — it is economical, and one can drink it without milk — but there is not much stimulation in it. One does not feel wiser, braver or more optimistic after drinking it. Anyone who has used that comforting phrase ‘a nice cup oftea’ invariably means Indian tea. Secondly, tea should be made in small quantities — that is, in a teapot. Tea out of an urn is always tasteless, while army tea, made ina cauldron, tastes of grease and whitewash. The teapot should be madeof china or earthenware. Silver or Britanniaware teapots produceinferior tea and enamel pots are worse; though curiously enough apewter teapot (a rarity nowadays) is not so bad. Thirdly, the pot should be warmed beforehand. This is better done by placing it on the hob than by the usual method of swilling it outwith hot water. Fourthly, the tea should be strong. For a pot holding a quart, ifyou are going to fill it nearly to the brim, six heaped teaspoonswould be about right. In a time of rationing, this is not an idea thatcan be realized on every day of the week, but I maintain that onestrong cup of tea is better than twenty weak ones. All true tea loversnot only like their tea strong, but like it a little stronger witheach year that passes — a fact which is recognized in the extra rationissued to old-age pensioners. Fifthly, the tea should be put straight into the pot. No strainers, muslin bags or other devices to imprison the tea. In some countries teapots are fitted with little dangling baskets under the spout to catch the stray leaves, which are supposed to be harmful. Actually one can swallow tea-leaves in considerable quantities without ill effect, and if the tea is not loose in the potit never infuses properly. Sixthly, one should take the teapot to the kettle and not the other way about. The water should be actually boiling at the moment of impact, which means that one should keep it on the flame while one pours. Some people add that one should only use water that has been freshly brought to the boil, but I have never noticed that it makes any difference. Seventhly, after making the tea, one should stir it, or better, give the pot a good shake, afterwards allowing the leaves to settle. Eighthly, one should drink out of a good breakfast cup — that is,the cylindrical type of cup, not the flat, shallow type. The breakfastcup holds more, and with the other kind one’s tea is always half coldbefore one has well started on it. Ninthly, one should pour the cream off the milk before using itfor tea. Milk that is too creamy always gives tea a sickly taste. Tenthly, one should pour tea into the cup first. This is one ofthe most controversial points of all; indeed in every family inBritain there are probably two schools of thought on the subject. The milk-first school can bring forward some fairly strong arguments, butI maintain that my own argument is unanswerable. This is that, by putting the tea in first and stirring as one pours, one can exactlyregulate the amount of milk whereas one is liable to put in too muchmilk if one does it the other way round. Lastly, tea — unless one is drinking it in the Russian style — should be drunk without sugar. I know very well that I am in aminority here. But still, how can you call yourself a true tea-lover ifyou destroy the flavour of your tea by putting sugar in it? It wouldbe equally reasonable to put in pepper or salt. Tea is meant to bebitter, just as beer is meant to be bitter. If you sweeten it, you areno longer tasting the tea, you are merely tasting the sugar; you couldmake a very similar drink by dissolving sugar in plain hot water.
Some people would answer that they don’t like tea in itself, that they only drink it in order to be warmed and stimulated, and they need sugar to take the taste away. To those misguided people I would say: Try drinking tea without sugar for, say, a fortnight and it is very unlikely that you will ever want to ruin your tea by sweetening it again.
These are not the only controversial points to arise in connexion with tea drinking, but they are sufficient to show how subtilized the whole business has become. There is also the mysterious social etiquette surrounding the teapot (why is it considered vulgar to drink out of your saucer, for instance?) and much might be written about the subsidiary uses of tealeaves, such as telling fortunes, predicting the arrival of visitors, feeding rabbits, healing burns and sweeping thecarpet. It is worth paying attention to such details as warming the pot and using water that is really boiling, so as to make quite sureof wringing out of one’s ration the twenty good, strong cups of thattwo ounces, properly handled, ought to represent.
George Orwell, 1946

Il Vecchio

venerdì 2 maggio 2014

La parabola dei tre cacciatori

Loro erano stupidi, allora egli raccontò alla folla la seguente parabola:
"C'erano una volta tre cacciatori, i quali, stanchi della solita selvaggina decisero affrontare la sfida più ardua di tutte, cacciare l'Uccello, unico nella sua specie e padrone del cielo. I tre, entrambi esperti cacciatori iniziarono i preparativi. Il primo iniziò con lo studiare tutti i venti, le stagioni migliori per la caccia, le abitudini alimentari dell'animale, mentre il secondo tirò fuori il suo fucile ed inizio a calibrarlo, a scegliere i proiettili giusti, il mirino più adatto, mentre il terzo, controllò la funzionalità del suo arco e preparò lo zaino con le provviste necessarie. Cosi, una volta finiti i preparativi, i tre partirono. Dopo qualche giorno di ricerca iniziò a tirare un forte vento da ovest ed il primo immediatamente decise di fermarsi, perché doveva rivedere le sue carte e cambiare le sue previsioni in base ai recenti avvenimenti. Gli altri due continuarono. Dopo una settimana una forte pioggia arrivò da est, ed allora il secondo, preoccupato per i suoi sofisticati strumenti, si fermò in una grotta, attendendo la fine delle intemperie. Il terzo cacciatore rimase solo, ma determinato a portare a termine la sua cattura, e continuò, affidandosi al suo istinto ed alla sua esperienza. Soffrì il freddo e la fame, e spesso pensò di tornare indietro, ma la sua brama dell'animale era troppo forte. Mai abbandonò la speranza di riuscirlo a prendere."
A quel punto un fariseo lo interrogò: "Maestro ed il terzo cacciatore riusci a catturare l'Uccello?"
Egli rispose: "Sicuramente è quello che più gli sarà andato vicino e che più di tutti lo avrà desiderato."
Nessuno capì, e la folla si disperse ed il predicatore rimase solo.
-Prometeo