domenica 24 novembre 2013

Intervista col colonnello.

Tripoli, 6 luglio 1986
-Salve.
-Il “salve” è merda fascista.
-Chiedo scusa.
-Al diavolo!
-Cosa devo dirle?
-Addio sarebbe meglio.
-E l'intervista?
-Le interviste sono liquame da teatro scritto male.
-Cristo.
Il colonnello s'accende una sigaretta.
-Posso iniziare?
-...
-Perché la rivoluzione in Libia?
-Ogni tanto bisogna fare secco qualche re. Idris I è un nome del cazzo.
-Nient'altro?
-Nient'altro.
-Lei giustifica un colpo di stato, così?
-Io non giustifico. Solo gli stronzi giustificano:“Io fotto mia moglie perché è bella”. Io ho un harem.
-Che scrivo sul giornale?
-Il problema è suo.
-Non le pare che la rivoluzione si sia tradita?
-No.
-Una monarchia per una dittatura. Non è tradimento?
-No. Il mondo è pieno di stati ruffiani senza palle. La Libia, ora, no.
-Una questione di coglioni?
-Le democrazie occidentali sono cadaveri flaccidi sdraiati su triclini in cerca di cibo da mangiare per poi vomitarlo. Noi siamo meglio.
-Non credo.
-Chi se ne frega di quello che crede.
-Il suo popolo è alla fame e senza diritti. Noi siamo liberi e sani.
-Diritti.... Guido il popolo. Lo conduco lungo la valle delle tenebre verso la luce. Voi avete trovato una grotta comoda nell'oscurità: il buco del culo dell'America. Tenie.
-Forse. Ma abbiamo dignità di cittadini. Libertà.
-La democrazia è il regime delle pance. Le persone sono intestini famelici. Pensano solo a quello ossessivamente. Per vincere le elezioni bisogna promettere pasti. I migliori promettono di svuotarti anche i coglioni e la connessione internet. La democrazia non riesce a tirar su il culo da terra. Avete dignità e libertà di una vacca in una stalla che vuole essere munta.
-E la dittatura?
-Costringe a fare ciò che è giusto per sé.
-Non fossi d'accordo sull'idea di giusto?
-Stronzate. Avesse un amico che sta per avvelenarsi non gli strapperebbe il cianuro di mano?
-No.
-...-
-Quindi lei si sente una sorta di Lenin o Robespierre della Libia?
-Mi sento di più il Gheddafi. E ora vada al diavolo.
 
 António de Oliveira Salazar

martedì 19 novembre 2013

Inno al Rinoceronte

INNO AL RINOCERONTE

Il Rinoceronte!
Solitario, superiore per natura, non necessita di nessuna struttura sociale per realizzare se stesso.
Il prossimo non gli è utile nemmeno come nutrimento.
I soli che sfuggono a questa regola, sono piccole creature addette a pulirgli il maestoso corpo.
 Il Rinoceronte!
Uccide per il solo gusto di farlo.
Uccide per divertimento.
Uccide senza motivo.
Il Rinoceronte!
Sontuosa creatura!
Incarnazione dello spirito artistico; nessuno manifesta se stesso meglio di lui!
Potenza, forza e superbia dimorano nella sua anima.
Nulla gli manca.
Anche la perfetta matematica si compiace in questa divina opera.
Il Rinoceronte!
Che i deboli di spirito tremino al suono del suo passo!
Che i forti lo venerino come un dio!

Prometeo

martedì 12 novembre 2013

Contro i lerci democratici

Democratici! Voi che dormite sul vostro letto comodo, col vostro timido pigiamino autunnale e con le coperte fin sulla fronte; voi che avete rinunciato alla violenza dei sentimenti veloci e aggressivi; voi che avete in mano il mondo, e lo governate, e lo accarezzate, e lo coccolate come si fa con un tenero gatto persiano, state all’erta, perché il giorno della vostra sconfitta arriverà; e il vostro mondo esploderà nelle vostre stesse mani; e sangue opaco uscirà, sangue morto, privo di energia, sangue sterile, sangue di chi non ha vissuto, sangue gelato.
 

Su di voi cade il mio sputo, democratici. Il mio sputo vuole prendersi beffa della vostra grigia esistenza, e vuole infierire con furia d'acciaio sulla vostra democratica debolezza. Siete deboli, e non potete difendervi dai miei attacchi vigorosi. Vi tiro un pugno, vi schiaffeggio, e voi non riuscite a impedirmelo. Si sprigionerebbe troppa energia, e l'energia non è per voi. E poi non riesco proprio a immaginare vedervi combattere e impugnare un'arma. Quando penso a voi penso piuttosto a una stampella. È il vostro oggetto la stampella: se qualcuno mi chiedesse di associarvi a qualcosa, io vi assocerei alla stampella. E alla gobba - oh, sì, bella accoppiata gobba e stampella. La stampella vi sorregge goffamente nella vostra insicurezza e scandisce il ritmo della fiacca monotonia -
toc
toc
toc;
e la gobba disegna con smorfia ripugnante la forma vergognosa del vostro vigliacco passeggiare. Perché siete dei vigliacchi, democratici. Quando qualcosa minaccia la vostra tranquillità, voi lo evitate come il torero evita il toro, e vi voltate dall’altra parte, e riprendete a sorridere. I vostri ideali sono buoni fino a che non diventano pericolosi.
 

Quello che per voi è minaccia per me è vita: voglio che quel toro mi uccida, che le sue corna possenti si infilino nel mio torace. Il toro è ciò in cui credo: qualcosa che si muove, che guarda avanti, che prima va a destra e poi a sinistra, e poi torna indietro, e salta, e cade e urla e si rialza, e incorna una muraglia di acciaio dieci venti cento volte. Mai niente dev’esser lineare. Voglio che i miei muscoli siano sempre pieni di fuoco, e ardano come ardono gli occhi del toro. Il toro è il recinto spaccato, è la fuga incontrollabile. Voi invece siete prigionieri, voi miserabili. Prigionieri miserabili. Prigionieri di una stanca mediocrità senza vertebre. E di un muro. Un muro orizzontale, massiccio, impenetrabile, che vi tiene tutti a terra e vi impedisce di abbracciare con foga il cielo eroico del Futuro. E permettetemi una risata – oh sì, una gran bella risata quando penso che il muro ve lo siete costruito da soli, mattone dopo mattone, preghiera dopo preghiera, rinuncia dopo rinuncia.

Voi vivete in branchi, vi sorreggete l’un l’altro, vi influenzate l’un l’altro; la codardia di uno diventa la codardia di tutti; e se anche ci dovesse essere una voce contraria, di potenza, di coraggio, beh, essa poco a poco si smorzerebbe, stremata dal vostro continuo salmodiare.

salmodiare.

salmodiare.

Per tutta la vita la stessa nota, cantata nello stesso modo, con la stessa cadenza e lo stesso torpore. Sempre uguale. Questa è la vostra esistenza. Ah, come vi detesto, democratici!


Ma verrà il giorno! verrà il giorno in cui un lampo illuminerà il cielo, e insieme al cielo i vostri occhi, cosicché diverrete consapevoli della vostra inutilità, e dell’inutilità della vostra camicia sempre allacciata, e della cravatta sempre pulita, e dei pantaloni sempre stirati. E vorrete allora svestirvi di tutto, buttare tutto al vento; ma sarà troppo tardi! oh sì, sarà troppo tardi; e vi toccherà di morire congelati nella vostra secca mediocrità, incapaci di abbattere quel muro che giorno dopo giorno avete rinforzato, e che vi ha reso quel che siete, marmaglia di vigliacchi che cammina a testa bassa per timore di tradire la propria comoda morale.


Ruhollah

mercoledì 6 novembre 2013

Tolomeo IV Filopatore: Empietà e Vizio

"Guai a quelli che tirano l'iniquità con le corde del vizio,
e il peccato come con le corde di un cocchio.”  Isaia 5:18

“Egli si sazia col pane dell'empietà
e si disseta col vino della violenza.”  Proverbi 4:17

Anno 244 a.C., Tolomeo III Evergete, retto, deciso e onesto faraone, governava con grande carattere e forza morale sull’Egitto ellenico, la cui città principale era Alessandria, massimo centro di cultura del tempo. Durante il suo regno l'Egitto conobbe un momento di grande splendore, tanto che al re fu conferito il titolo di benefattore (in greco euergetes, appunto), e il culto di stato del sovrano come incarnazione del dio raggiunse l'acme.
Perciò egli non poté che essere felice quando, in quell’anno, la moglie Berenice II mise al mondo il suo terzogenito, nominato anch’egli Tolomeo. Ora era certo che il suo regno avbrebbe avuto una degna stirpe e la dinastia avrebbe potuto continuare a dominare su quella rilevante fetta d’Africa: il primogenito Maga prometteva rettitudine e un’indole vigorosa, in sintonia con il padre, la terza sorella era ormai una donna virtuosa, un’ottima spalla in caso di difficoltà e Tolomeo sarebbe stato un più che valido consigliere e, chissà, generale dell’esercito. Tutto perfetto.

Eppure quest’ultimo decise di correggere il solco di moderazione e virtù segnato dai genitori e cambiare la propria sorte: egli voleva governare. Quindi, appena l’età gli donò la forza fisica e psicologica necessarie, preparò un pentolone d’acqua, lo portò a bollitura e, in un tardo e ozioso pomeriggio, vi gettò il fratello maggiore, nonché primogenito ed erede al trono, Maga, camuffando il tutto come uno stupido, sfortunato e sciagurato incidente.

Così il prodigioso padre, avendo trascorso ormai buona parte della sua vita e desideroso di passare la vecchiaia in una meritata tranquillità, nel 222 a.C. lasciò il potere nelle mani del suo amato figlio, che divenne quindi Tolomeo IV. Egli, per ringraziamento, credendo che i genitori fossero un poco stressanti e ritenendo che non gli avrebbero permesso di governare in pace e di assecondare le sue voglie, li avvelenò entrambi, macchiandosi di parenticidio. Ciò gli valse l’antitetico e ironico soprannome di Filopatore, ossia “amante del padre”. Poi, per terminare l'opera, assassinò anche lo zio Lisimaco. Per completare la famiglia ed avere al contempo meno parenti impiccioni possibile, prese come sposa sua sorella Arsinoe.
Infine lasciò l’amministrazione del regno interamente nelle mani dei suoi consiglieri e delegò gli affari di stato al suo corrotto ministro e generale Sosibio e al funzionario Agatocle, mantenendo però la gestione diretta dell’esercito e delle imprese belliche, nonostante la sua manifesta incapacità.

Una volta sistemate tali seccanti faccende poté darsi con tutto se stesso alla sua vocazione: il culto di Dioniso. Infatti egli era iniziato al culto dionisiaco e cercò, con inumano fanatismo, durante la sua voluttuosa vita, di diffonderlo e svilupparlo. Era famoso in tutto il paese per l’amore verso i piaceri della vita, per l’interesse nei confronti delle orge sfrenate e, in generale, per l’essere dominato dai vizi ed era perciò anche conosciuto con l'appellativo di Nuovo Dioniso.
Inoltre Alessandria, sotto Tolomeo IV, diventò sempre più fastosa e sfarzosa e la corte reale addirittura splendida. Egli fece proseguire la tradizione intellettuale della città e vi fece erigere un tempio dedicato a Omero. Infatti egli era un grande amante della letteratura e si dilettava nello scrivere commedie e tragedie.

Durante il suo breve regno, Tolomeo Filopatore, riuscì anche a godere delle gioie procurate dalle vittorie militari, la più grandiosa delle quali fu quella contro Antioco III Il Grande, re della Siria. Quest’ultimo, difatti, nel 221 a.C. iniziò una guerra contro l’Egitto per la conquista di Israele, che ebbe termine nel 217 a.C. nella gloriosa battaglia di Rafia che vide vittorioso l’esercito guidato dallo stesso Tolomeo.

A tal proposito è stimolante citare due episodi al riguardo.
Tolomeo, dopo aver sconfitto Antioco, come egli sosteneva, coll’aiuto del Sole, per celebrare le feste della vittoria e ingraziarsi il dio non solo fece grandiosi sacrifici, ma dedicò anche quali vittime quattro elefanti di enormi dimensioni, credendo in tal modo di rendere omaggio alla divinità. Fu però turbato da un sogno in cui il Sole lo minacciava per aver ordinato quell’inconsueta e assurda offerta. Senza batter ciglio fece allora fondere quattro elefanti di bronzo e li consacrò al dio al posto di quelli che aveva immolato, per placarlo e renderlo favorevole, senza pensare che così aumentò soltanto il sacrificio di materiali e vite umane, perse nella produzione degli idoli.
Il secondo episodio viene citato nel Terzo Libro dei Maccabei (apocrifo per la Chiesa Cattolica, ma non per quella Ortodossa): Tolomeo, dopo questa esaltante vittoria,  si trattenne per alcuni mesi nel territorio occupato percorrendone le città e visitandone i santuari, per puro diletto. Tra i santuari che egli desiderava visitare c'era anche il Sancta Sanctorum del Tempio di Gerusalemme, il penetrale, in cui non entrava che il sommo sacerdote una volta all'anno. Gli Ebrei si opposero al suo desiderio, ma egli volle entrare ugualmente, e Dio, dopo una preghiera del sommo sacerdote, lo colpì di una stupefazione e di un irrigidimento, che non ebbe termine se non quando il re fu trasportato fuori.
Si continua poi a narrare che per vendetta Tolomeo ordinò che gli Ebrei non potessero ottenere il diritto di cittadinanza in Alessandria, se non facendo omaggio al culto di Dioniso e portandone sul corpo a segno indelebile il simbolo, l'edera. Gli Ebrei rifiutarono, e allora l'ira del re si riversò sugli Ebrei dell'interno dell'Egitto, che, accusati di tradimento, furono trasportati in Alessandria per essere condannati e giustiziati.
E’ degna di ammirazione la modalità che il Re scelse per la condanna: ordinò che tutti gli ebrei condotti in città venissero rinchiusi nell'ippodromo, per poi scatenare contro di loro la furia di 500 elefanti drogati con vino e incenso. Ma ancora una volta fu l'intervento divino a salvare gli ebrei: Tolomeo per due giorni cadde in un sonno profondo e dimenticò il suo proposito di vendetta.
Il terzo giorno tornò all'ippodromo per dare compimento al suo empio disegno. Quando fu in procinto di aizzare le bestie contro la folla di circoncisi rinchiusi, due angeli comparsi dal Cielo fecero rivoltare gli elefanti contro le truppe di Tolomeo, massacrandole. A questo punto Tolomeo si rassegnò, liberò gli ebrei e consegnò loro delle lettere di protezione per tutti i governatori dell'Egitto.

Infine vorrei narrare un’ultima vicenda, esemplare anch’essa.
Il re di Sparta Cleomene III, figlio del famigerato Leonida II, combattendo la guerra del Peloponneso contro gli Achei, arrivò nel 223 a.C. ad una stretta finale del conflitto: la battaglia di Sellasia, una cittadina non lontana da Sparta. Qui si decideva la sorte della guerra e le forze rimaste degli eserciti si fronteggiarono perciò a viso aperto. Cleomente perse questa ineluttabile battaglia e, per evitare la persecuzione, fuggì con la famiglia ad Alessandria d’Egitto, alla corte dell’amico re Tolomeo III, il quale lo accolse con grande generosità, accomodando ogni sua richiesta. Ma l’anno dopo vi fu la successione al trono d’Egitto e da quel momento l’ospitalità si tramutò in sequestro.
La segregazione durava ormai da parecchi mesi, così, mentre che Tolomeo assisteva alle grandi cerimonie del culto di Serapi a Canopo, l’orgoglioso Cleomene tentò d’evadere e di sollevare gli alessandrini contro il loro re. Ma il suo disegno non riuscì e Cleomene e i suoi partigiani non trovarono altro rifugio che il suicidio. La loro morte però non saziò del tutto la vendetta che il Filopatore voleva riscuotere per quel tentativo: egli fece mettere in croce il cadavere dell’ex re di Sparta e fece strozzare ai suoi piedi la moglie, la madre e i figli di quel disgraziato.

Abbruttito dalle dissolutezze, morì ancor giovane nel 205 a.C. e lasciò come unico erede al trono il figlio di 5 anni. Perciò il corrotto entourage di corte assassinò la degna e coraggiosa Arsinoe e prese il potere, conducendo però l’Egitto verso una lunga serie di sconfitte militari e rivoluzioni.

Gli storici sostengono che con Tolomeo IV iniziò il declino dell’Egitto ma, a mio parere, grazie anche al suo temperamento scellerato, alla sua vanagloria e alle sue imprese, questo re merita una fama che non ebbe e per questo è degno di un posto nel numero degli antidemocratici.

Il Vecchio